Una settimana fa abbiamo appreso che la disoccupazione negli Usa è diminuita, raggiungendo il punto più basso dall’inizio della crisi. tutti contenti dunque anche perché questo risultato è il frutto di una politica diametralmente opposta a quella europea, con grandi immissioni di denaro nel sistema economico da parte dello Stato e delle amministrazioni pubbliche. E tuttavia non è proprio tutto oro quello che luccica: secondo alcuni studi infatti il lavoro perso con l’inizio della crisi è stato sostituito con altro, ma a costo molto più basso, mediamente del 40% continuando a far scendere il peso del reddito da lavoro nei confronti del totale.
Non è affatto un processo che riguarda solo gli Usa: proprio in questi giorni è scoppiata in Germania la polemica sul salario minimo, orario o mensile, reso ancora più acceso dalla campagna elettorale. Perché se è vero che la signora Merkel può vantare i record di occupazione, è anche vero che in quei dati è compresa moltissima sotto occupazione, ma anche occupazione regolare pagata però così poco da costringere lo stato a intervenire per integrare il salario attraverso l’Hartz 4, ossia lo strumento per il reddito di cittadinanza. La Germania è proprio il Paese dove è più evidente l’insufficienza dello strumento della media statistica generica usata come strumento mediatico. E’ vero infatti che le retribuzioni sono mediamente del 15% superiori che in Italia, almeno per ciò che riguarda gli occupati regolari, ma questo significa che chi ha un posto di lavoro da dieci e più anni percepisce salari quasi doppi rispetto ai nostri, mentre ha trovato occupazione più tardi entra spesso in quel 22,2% di lavoratori a basso salario che è di gran lunga la percentuale più ampia del continente.(la media è il 14,8%).
Questo naturalmente riduce sempre di più il mercato interno, spingendo la Germania a rendere assoluto (ma proprio per questo fragile) il suo modello mercatista e a svolgere dunque in Europa la funzione di cane da guardia del rigore per non trovarsi a pagare il deficit altrui che essa stessa crea con il suo export. Ma al di là di questo, è evidente che come negli Usa, ogni nuovo lavoratore finisce per prendere meno del precedente o trova nuovo lavoro a un salario più basso: è una sorta di turn over verso l’impoverimento che non si comprende dove possa portare alla fine se non a cercare la domanda su pianeti alieni. Ci sono però interessi precisi, anche se del tutto ciechi, che spingono verso questo assurdo: in taluni casi può essere il semplice e rozzo ( “brutto” si direbbe in tedesco con significativo italianismo) aumento istantaneo del profitto, in altri casi l’aleatorietà del lavoro e la sua ricattabilità attraverso le basse retribuzioni. Per assurdo in Germania proprio questo avviene a spese della finanza pubblica: quasi 400.000 famiglie devono essere supportate dallo Stato per permettere a imprenditori pirateschi di pagare salari da fame. E’ per questo che ora si vuole istituire un minimo salariale di 8,5 euro l’ora (richiesta dei sindacati).
La beffa è che lo stato si trova a sovvenzionare proprio quegli ingordi privati che lo vorrebbero ridotto al minimo e con esso anche i diritti di cittadinanza che vi si collegano. Ma del resto in tutto il mondo la tendenza del neo capitalismo è quello di socializzare in qualche modo i costi, sottraendo i profitti dalla tassazione: un gigantesco banchetto alla faccia degli esclusi che finirà più prima che poi per mancanza di domanda. E’ così ovvio che ci chiede come mai non paia evidente e non stimoli l’azione politica per opporsi, se non sapessimo che parte dei profitti finisce nella macchina di convinzione di massa.