Non riuscivo a decidermi. Vi è mai capitato? Che siete lì in un limbo, col cuore bloccato come mille cuori che si bloccano.
Ero ancora in Oman, il caldo aumentava di giorno in giorno, arrivando a toccare punte di 45 gradi all’ombra, a mezzogiorno. Le piante sul terrazzo, arse dal sole, chiedevano pietà; e così io, che, vivendo in un’unica stanza minuta, se facevo bollire anche solo uno zucchino, la camera si trasformava in un forno. Lavoro non ce n’era più, scrivere non scrivevo, mangiavo poco e pensavo tanto. Ogni sera, al tramonto, mi dondolavo in terrazza sulla bubble chair di vimini in attesa di ispirazione, fumando una sigaretta nella solitudine omanita che mi attanagliava il cuore. Io che non fumo. Brutto segno.
Era giunto il momento di prendere una decisione, o meglio, di comprare un biglietto aereo. In tasca, al momento, avevo solo il progetto di scrivere un libro in santa pace. Dove? Non riuscivo, appunto, a decidermi.Un giorno mi svegliavo, e il pensiero era uno solo: “Vado a Bali!”. Il pomeriggio cambiavo idea, e volevo andare in Thailandia. “No, forse sarebbe meglio lo Sri Lanka, non ci sono mai stata!”, bofonchiavo la sera. La mattina alle quattro ero sveglia nel letto con gli occhi sbarrati: “Ma forse dovrei tornare in Cambogia, che è un porto sicuro, tornerei a trovare le suore, le mie amiche…”. La mattina stessa alle nove ero davanti al sito Airbnb a prenotare una stanza per un mese nell’appartamento di una ragazza. Nel Laos.
Ecco – ho pensato – se accetta la mia richiesta è fatta: vado nel Laos e non se ne parli più.
Ma il destino, si sa, ci trascina – volenti o nolenti – dove vuole lui.
E fu così che nel pomeriggio ricevetti una chiamata dal mio amico Hamed: “Allora sto biglietto aereo, l’hai fatto oppure no? Hai deciso dove andare?”. “No. Bloccata del tutto”.
Alle 21 se n’è arrivato con due biglietti per Bangkok: “Altrimenti tu dall’Oman non ti muovi più. E io vengo con te per una settimana, che sono sette anni che non esco da sto paese”. “Ma come? E me lo dici così, su due piedi? Devo fare la valigia, devo portarmi dietro tutto che poi torno in Italia, e poi non ho ancora mangiato, ho mal di testa, ho sonno, ho…”.
Sono le cinque del mattino: eccoci all’aeroporto. Destinazione: Bangkok. Dopo: chi lo sa?
Noi partiamo.
La sera prima avevo mandato un messaggio a Wimonpak, la proprietaria di un alloggio a Bangkok dov’ero stata l’anno precedente tramite la piattaforma Airbnb.com. Mi ero trovata molto bene (alloggio nuovo e pulito, circa 23 euro a notte), e così avevo tenuto il suo numero di telefono. Se vi interessasse, questo è il suo sito: House1194 Bangkok. Mi sono trovata bene e ve lo consiglio, anche se l’alloggio era un po’ fuori mano: era in un quartiere thai per niente turistico, però, vuoi mettere l’esperienza?
Vedendo che non mi rispondeva, ho prenotato una camera al boutique hostel vicino al Victory Monument, in Ratchawithi Road: il mio amato Hi.Mid Bangkok. Amato perchè era stato il punto di arrivo e di partenza l’anno in cui avevo viaggiato per l’Asia alla ricerca del mio posto nel mondo, la mia base tra una meta e l’altra. Il mio posto nel mondo ancora non l’ho trovato (penserete mica che sia l’Oman, eh?), ma in compenso ho lasciato un pezzo del mio cuore in ostelli, resort e appartamenti di mezzo mondo.
Wimonpak la mattina mi ha risposto che aveva un appartamento libero, ma ormai l’ostello era stato prenotato. Arriviamo a Bangkok la sera, sfiniti dalla notte passata quasi in bianco, ma finalmente siamo fuori dall’Oman: evviva! La Thailandia mi aspettava ancora, era sempre lì, con le sue braccia aperte, le pagode e la libertà (di lì a pochi giorni ci sarebbe stato il 12° Colpo di Stato Militare).
La mattina, freschi come delle rose del deserto, prendiamo un tuk tuk al volo e ci facciamo portare al Wat Pho, il Tempio del Buddha Sdraiato, o Wat Phra Chetuphon.
Eccoci sul tuk tuk:
Nel Tempio si trova il famoso Buddha Sdraiato: alto 15 metri e lungo 46, è imponente e un po’ misterioso nel suo bagliore d’oro. Essendo il primo che Hamed vede in vita sua, alla decima foto di lui in varie pose col buddha chiedo pietà, ma poi mi rassegno: viaggiare in compagnia significa anche dover fare fotografie ai bambini compagni di viaggio.
Al termine della visita del tempio, decidiamo di farci fare un massaggio thailandese al Wat Pho Thai Traditional and Medical Massage School, che si trova all’interno dell’area del tempio: è la prima volta che mi faccio fare un massaggio in vita mia e sono titubante, ma Hamed ha il corpo a pezzi a causa del suo lavoro (trivella gas e petrolio nel deserto), e insiste. Così, lasciamo che due baldi giovani thailandesi – di bell’aspetto, tra l’altro, il che non guasta mai – ci tirino gli arti su, giù, a destra, sinistra, e tic, e tac, ahi!, per poi riconsegnarci alla vita mezz’ora dopo, che ci sembrava di volare.
Usciamo (rinati) dall’area del tempio e ci rechiamo al Tha Chang Pier, dove, su suggerimento di un’amica, ci imbarchiamo su una long tail boat per una escursione sul Bangkok Yai Canal, attraversato dal fiume Chao Phraya e opposto al Palazzo Reale. La traversata è interessante: case costruite sull’acqua si affacciano sul canale, mostrando momenti di autentica vita thailandese:
Ecco il video dell’escursione sul Bangkok Yai Canal:
Avete visto al minuto 0.44 il simpatico venditore sulla barca? Il ragazzo è un business-man provetto: prima tira fuori una serie di buddha in miniatura (Hamed: “Un buddhino potrei prendermelo!” Io: “Ma se in casa tua (un monolocale) non entra manco più uno stuzzicadenti, tanto è piena di roba!”), poi due porno-posaceneri (Hamed: “Questi però potrei prenderli, poi li porto nel deserto, sai i miei colleghi quanto sono contenti!” Io: “Ecco, bravo, alimentiamo la diceria che gli occidentali sono tutti dei depravati!” Hamed: “Ma io non sono occidentale…”). Vedendo che non compriamo niente, il business-man decide di giocarsi l’ultima carta: tira fuori una birra ghiacciata.
Hamed mi guarda con sguardo patetico. Poi cede. Non senza un mio ultimo, monotono rimbrotto: “Scusa, ma i musulmani non devono astenersi dal bere alcohol?” Hamed: “Mica tutti!”, porgendo i soldi, serafico, al business-man, a cui torna il sorriso mentre stappa la bottiglia di Singha.
- Cheeers!
- I porno-posaceneri
Al termine dell’escursione decidiamo di farci lasciare al Wat Arun, il Tempio dell’Alba (Aruna era il dio induista dell’aurora), sempre nel distretto di Bangkok Yai. A dispetto del nome, però, la vista più bella si gode al tramonto, quando le conchiglie e porcellane che rivestono il santuario principale e i quattro minori (prangs, pagode di origine Khmer) risplendono alla luce calda della sera che arriva.
Il prang centrale, che simboleggia il Monte Meru, centro dell’universo, è alto circa 80 metri e si può scalare arrancando su gradini ripidi: il caro Hamed, alla vista dei gradini, ne fa qualcuno e poi, una volta arrivato al primo terrazzo, si dà alla macchia, dicendo che, in fondo, la guida turistica sono io e quindi, se voglio, posso tranquillamente farmeli tutti. Da sola.
Il Nostro è stato rapito dalla velocità e simpatia dei tuk tuk: dice che, venendo dall’Oman, i taxi gli escono dalle orecchie (a chi lo dice!), e quindi ne prendiamo un altro per farci portare alla stazione dei treni Hua Lamphong. Perchè? Perchè il caro Hamed nel mentre ha deciso che in una settimana vuole mettere piede in più paesi possibili del Sud-Est Asiatico. Mettere piede: mica visitarli!
E così eccoci alla stazione dei treni di Bangkok, a chiedere a che ora partirà l’indomani sera il treno per Vientiane, capitale del Laos. Ma come, è tutto pieno? “Sì, se volete potete partire stasera alle 20, altrimenti fra due giorni”. Stasera? Ma sono già le cinque, abbiamo solo tre ore di tempo per correre in hotel, fare la doccia, preparare le valigie, fare il check-out (pagando una penale, ovvio), mangiare… “Hamed, mica vorrai partire già stasera, no?”.
Il treno notturno per Vientiane delle 20 è lì che ci sta aspettando, placido, al binario quattro. Io ho i capelli dritti come Amelia la Strega che Ammalia e la pelle appiccicaticcia di chi ha appena fatto una corsa in tuk tuk dopo aver fatto la valigia/fatto la doccia/fatto il check-out. Lui è fresco come un giglio mentre sgranocchia patatine, e sorride beato all’idea di prendere un treno notturno (il primo della sua vita) che lo porterà in un nuovo paese.
Laos, arriviamo!
Intanto fammi un po’ vedere dov’è il bagno, qui, che ho un leggero mal di pancia…
Fine della prima puntata.
Leggete qui la seconda!
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Ultima foto col buddha concessa. Poi ho buttato la macchina.