Magazine Opinioni
Gli abbracci e i baci che hanno sigillato al Senato l’intesa tra Renzi e Berlusconi sulla riforma costituzionale sono i preliminari di una copula che partorirà un nuovo blocco sociale e una legge elettorale che ridurrà la rappresentatività a mera rappresentazione delle forze dei due copulanti ne sarà la placenta. A dispetto di chi ritiene che Renzi durerà poco, e che non a caso è anche chi ha ritenuto fino a ieri che Berlusconi fosse irreparabilmente finito (ritenerlo oggi è improponibile), l’Italia si appresta a offrire al mondo un altro inedito modello di sintesi degli apparentemente inconciliabili appetiti di clan che di giorno si sgozzano in una parodia di conflitto sociale e di notte s’accordano per fare sistema. Non è il fascismo, stavolta, ma è qualcosa che del fascismo ha la stessa aspirazione a cercare coincidenza tra stato, inteso come macchina che produce consenso, e nazione, intesa come corpo che al consenso dà espressione: è l’eterno sogno di costruire una società a misura di quel familismo che per statuto ha il reciproco ricatto che rinsalda i piani della piramide, dal vertice alla base e viceversa, e per manifesto ha la compiacente offerta di un realismo che è la logica del parassita che vive degli avanzi incastrati tra i denti del predatore. Il berlusconismo non era il fondo dell’abisso, si poteva ancora scavare. Stavolta sfacciatamente esibita, la totale mancanza di una cultura politica, e di cultura in generale, poteva inventarsi il renzismo, che è solo l’altra gamba di un’Italia che fin qui aveva saltellato sul berlusconismo. Berlusconi serviva a Renzi non meno di quanto Renzi servisse a Berlusconi. Ora il paese è saldo su entrambe le gambe e può finalmente correre verso il suo finale schianto. Tanto lo si è temuto come possibile, e quasi certo, che l’angoscia si è placata in una paziente attesa.