Si scrive Palestina, si chiama speranza (e letteratura, cultura…)

Creato il 06 dicembre 2012 da Chiarac @claire_com_

Un Festival di Letteratura a Gaza, ovvero quanto mai di più lontano dagli stereotipi a cui il nostro mondo ci ha ormai abituati. Eppure a Gaza leggono, anzi, di più, come ha affermato orgogliosamente Paola Caridi la scorsa settimana, in occasione della presentazione di un libro: a Gaza leggono Moravia e Gramsci! E quando la giornalista lo ha aveva riportato in Italia, la reazione era stata di pura sorpresa. Facile da immaginare, vero?

Nel video che vi propongo oggi è riassunto il significato del Palestine Festival of Literature che si è tenuto a Gaza nel maggio scorso (è stato uno dei primi eventi che ho seguito come blogger, trovate qui le cose che ho scritto), nonostante mille difficoltà facilmente immaginabili, grazie alla tenacia e al coraggio di alcuni intellettuali egiziani e palestinesi e alla forza della sua promotrice, la scrittrice Ahdaf Soueif.

Ci sono diverse immagini in questo video che mi hanno commossa e mi hanno fatto molto pensare, spero sia lo stesso anche per voi. Buona visione.

C’è tantissima Palestina in questo blog, ma non riesco, non voglio, non posso fare diversamente quando si parla della vita di un popolo come quello palestinese che NONOSTANTE TUTTO, vive. Sì, i palestinesi, e soprattutto gli abitanti di Gaza, VIVONO. Studiano, scrivono, vogliono diventare poeti, scrittori, insegnanti, vogliono comunicare al resto del mondo la loro umanità ed energia.

Non vogliono solo parlare della mancanza di elettricità, dell’esercito israeliano, dei morti, delle case portate via o distrutte, dei campi profughi.

C’è una generazione intera di giovani gazawi e di palestinesi, miei coetanei o poco più piccoli di me, che racchiude in sé qualcosa che molti miei coetanei italiani sembrano aver smarrito: la speranza in un futuro migliore. Nonostante tutto, nonostante tutti.

Il cambiamento parte dalla cultura e dalla forza delle idee. I palestinesi non hanno bisogno solo di cibo, acqua e medicinali, che di certo non possono e non devono mancare.

Ma un popolo ha anche fame di cultura, conoscenza, speranza e libertà.

Ma noi soffriamo di un male incurabile che si chiama speranza. Speranza di liberazione e d’indipendenza. Speranza di vita normale in cui noi non saremo né eroi né vittime. Speranza di vedere i nostri figli andare a scuola senza pericoli. Speranza per una donna incinta di dare la vita a un bambino vivo, in un ospedale, e non già a un bambino morto di fronte a un posto di blocco militare. Speranza che i nostri poeti vedano la bellezza del colore rosso delle rose invece di quello del sangue. Speranza che questa terra ritrovi il suo nome originale: terra d’amore e di pace. Grazie di portare con noi il peso di questa speranza.

Parole di Mahmoud Darwish, contenute in Viaggio in Palestina, ed. nottetempo, 2003


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