Mia nonna paterna non era una donna particolarmente buona, né particolarmente volta istruita. Era il riflesso della società rurale in cui era cresciuta, ha accresciuto i suoi figli in modo anche duro a volte, senza le coccole e la comprensione che i genitori di oggi si sentono in dovere di largire alla loro prole. Anche con nipoti non è mai stata la cara nonnina, ma anzi veniva apostrofata con i peggiori epiteti dai suoi quattro nipoti.
Non era colpa sua, oggi lo capisco. Era figlia di un mondo spicciolo, dove la sopravvivenza era legata alla quotidiana lotta con il mondo circostante, specie per le donne. Un mondo più crudo, dove la verità spicciola e contadina potevi trovarla nella tasca del grembiule.
Mia nonna però nonostante non fosse la nonna perfetta, una cosa me la comunque insegnata: la compassione. Tutte le volte che sulla porta della sua casa di campagna compariva un venditore ambulante mia nonna sbuffava e sbatteva, inneggiando alla voglia di fregare soldi che i venditori ambulanti portano con sé. Poi il più delle volte, specie se il venditore ambulante allargava il proprio viso in un sorriso o si faceva scappare una battuta o un complimento vago, mia nonna abbassava le braccia lungo il corpo e con un sospiro lo invitava a pranzo o gli offriva un pezzo di pane e formaggio, e se era estate la possibilità di rinfrescarsi al pozzo dell'orto.
Non era perfetta mia nonna, non era nemmeno buona, ma aveva visto la fame, l'aveva sofferta insieme alla guerra che stringe lo stomaco e se la ricordava bene. Forse la vedeva riflessa negli occhi di chi le si parava davanti vendendole una carabattola, e il ricordo le smuoveva qualcosa dentro, non lo so. Non solo la fame e la guerra, credo, ma anche il duro lavoro nei campi, la fatica fisica ripagata poi dal ghigno del padrone che non è mai sazio.
Un mondo diverso, che non esiste più ma che tornava a vivere nei suoi ricordi.
Fattostà che lo faceva non come un vanto, ma come lo scorrere naturale delle cose. Non credo la facesse sentire più buona o più cattolica, ma che le placasse un moto interiore questo sì.
Mi è tornata in mente la mia nonna paterna l'altro giorno, quando ad una sagra paesana con mia sorella siamo andate a comprare porcherie dolci in quei baracchini che vendono caramelle gommose e arachidi. Accanto a noi due bimbi di crca sei/sette anni di colore, con quella magrezza tipica di chi ha una conformazione fisica da corridore e con la faccia spalmata contro il vetro, abbacinati dai colori vividi delle caramelle gommose.
Il venditore, novello Mangiafuoco, soppesava attentissimo e con grande impegno col bilancino la giusta contropartita in caramelle dei 70 centesimi che i bambini gli avvevano allungato speranzosi.
Ci siamo così disgustate che ce ne siamo andate.
No, ma il problema non è solo "Aiutiamoli a casa loro" o altre manfrine propagandistiche simili. Io mi preoccupo di che diavolo di paese siamo diventati, seduto ed accomodato in un finto benessere che pensiamo solo a tenerci stretti.
Che fa dire che le 71 persone morte soffocate in un TIR sono frutto solo della propaganda buonista e sinistroide.
Con tanti saluti all'empatia tra esseri umani.