Sabato scorso c'era una bomba (atomica) sul Voghera-Piacenza!!
Ma forse vi starete chiedendo cosa succedeva di preciso a Piacenza? Oltre a esserci una delle giornate con la luce più bella del 2014. E come prima risposta vorrei dire che Camilla Ronzullo ha raccontato tutto qui, sul suo splendido blog Zelda was a writer. Ha scritto parole così belle sull'esperienza, e pure su di me, che non sarò mai in grado di ricambiare. Ma posso solo dire due cose: una, leggete il post e leggete il suo romanzo Farfalle in un lazzaretto. Perché è una storia che semplicemente andava raccontata, perché ha valore. Due: per Camilla ogni altra parola sarebbe sprecata. Ne ho trovata però una su tutte per lei, imparata da lei, che è: l'autenticità. Lei è sincera. Completamente. E di lei ho capito una verità sola, tra le molte. Camilla è una scrittrice. Autentica, fino in fondo, con tutto il mistero che questo comporta, con tutto il difficile, anche. Dalle vette della sua altezza, che ha colpito anche Giulia Mazzoni, che ringrazio, e che trovate qui e che è una di quelle persone che lavorano sul serio e che danno un senso al concetto altrimenti astratto di biblioteca*, dalle vette cristalline dei suoi pensieri, a un suo struggente modo di essere che è quello che l'ha portata a chiamare così il suo blog. "Zelda Fitzgerald era tante cose, ma soprattutto, e davvero, era solo una scrittrice". Mi ha detto. Zelda. Camilla. Niente altro che scrittrici. Cosa vuol dire essere una scrittrice? Cosa? Cosa??
Era proprio questo il tema dell'incontro di sabato 15. Calliope - Omaggio alla narrativa femminile. Ci penso da giorni, non ho ancora trovato una risposta, naturalmente. Ma a osservare Camilla parlare di fronte a tantissime donne in Biblioteca, mentre Giulia moderava l'incontro (e la sua bellissima bambina in Sala Monumentale (!!) la aspettava) ho pensato e ho detto pure davanti a tutti: Virginia Woolf sarebbe contenta di vederci così, tutte quante concentrate, circondate da libri, e tutti gli uomini della nostra vita fuori, altrove, perché quello era un momento solo nostro. Uh poveri: in verità erano presenti ben due maschi, in nome delle "quote azzurre", e va bene. Ma il succo era quello: cosa significa essere donne e scrivere (libri, blog o altre amenità)??
La risposta, dopo averci meditato parecchio prima di fare questo post, per me è: non significa poi un gran che. Non più molto, a dire il vero. Mi spiego: significa moltissimo, forse siamo ancora "vittime", e un "genere" anche noi qui e ora nelle nostre apparentemente sicure città occidentali. (Anche se ci ho tenuto a specificare che uno dei temi del mio romanzo era in verità proprio quello della violenza non sulle ma delle donne verso gli uonimi: i miei personaggi femminili simboleggiano una forma estrema e peculiare di parità tra i sessi, essendo loro per prime portatrici del "male", ma mi sa che ne racconterò ancora di tutto ciò...). Ma in verità, uscendo dalla narrativa e tornando al "dibattito", che cosa è successo sabato: alla fine, mica abbiamo parlato di narrativa femminile... l'unica cosa femminile che saltava all'occhio è che eravamo femmine. Per il resto, abbiamo parlato di cose da uomini universali: editoria, self-publishing, case editrici, lavoro di squadra, autenticità, marketing, lavoro, soldi.
Il calore-serio (esiste questa dolce sinestesia?) che si è creato mi ha colpita, mi ha restituito un senso che talvolta nella vita mi sfugge. Anche voi perdete talvolta di vista il senso delle cose? Io sì, e mi spiace, perché la vita ha senso eccome, incontri come questo lo dimostrano. L'esistenza delle biblioteche* anche.
Ed è proprio di biblioteche che volevo anche parlare in questo post... (nella foto, il sigillo della biblioteca Passerini-Landi di Piacenza posto sul mio romanzo, Il metodo della bomba atomica. Questa è una delle gioie più grandi che io abbia mai provato nella vita).
Seconda forse solo a quella di "varare" insieme a Camilla un vero vino piacentino, dopo l'incontro. Grazie di cuore e uva all'Azienda Vinicola Fratelli Piacentini.
Dicevo delle biblioteche*. Venerdì scorso sono stata qui. Ci sono stata per curiosità verso il mondo delle biblioteche. Di recente sono stata accolta da una biblioteca (la Civica Centrale di Torino) in un momento molto importante per me, una premiazione di una tesi di laurea per il concorso Lingua Madre, dove ho fatto la madrina. Qui, il resoconto. E tempo fa ho trascorso moltissimo tempo in questi luoghi magici e così "normali" al tempo stesso (cercate il tag "biblioteche"...). Ci sono stata per ascoltare degli amici parlare, e in particolare il Bot @Einaudieditore (che ha detto la cosa più vera: bisogna ascoltare i lettori e ha citato un bellissimo passo di Bolano) e Mafe @mafedebaggis che ha detto anche lei la cosa più vera: "io più di ogni altra cosa sono una lettrice". Il panel si chiamava Talked to each other, trovate le info qui. E ho ascoltato con calma, riflettendo molto sul senso e sull'uso dei social network per la cultura, per i saperi, per la socializzazione, e pure per il lavoro. Ho cercato un senso che, spesso, come vi dicevo prima, sempre qualche volta mi sfugge. E il senso è questo: ascoltare, come ha detto proprio Stefano (alias @Einaudieditore), come lui ha fatto con i lettori della sua casa editrice, e come ha fatto anche Giulia Mazzoni della Biblioteca Passerini-Landi per intercettare i blog mio e di Camilla come rappresentativi di qualcosa di cui discutere in un incontro pubblico e prestigioso. La rete e la letteratura. I romanzi e il web. La scrittura. L'esigenza antica, tutto ciò che ruota attorno alla profonda, struggente, soave, emozionante, splendida, dolente naturadell'essere scrittori. Ci ruota un mondo di moltissime persone. Di facce. Per la scrittura si prendono treni, si piange, ci si abbraccia, si varano etichette di vini. Per scrivere, si consacra il tempo, la vita. Qualcuno ci muore, qualcuno ci campa, qualcuno diventa pazzo, qualcuno guarisce. Per la scrittura si salta nel buio, si arde, soli, nel deserto, e poi si è felici, si resta profondamente incantati, un po' come quando ci si innamora all'inzio della primavera. E si continua. Si resta in silenzio. Si soffre. E si trovano infine sempre le parole giuste.