di Beppe Grillo. La parola d'ordine dopo il 25 aprile del 1945 fu "ricostruzione". L'Italia era uscita distrutta dalla guerra con la volontà di ripartire, di cambiare tutto. C'era un senso di solidarietà, ci si aiutava l'uno con l'altro come capita ai sopravvissuti da un terremoto, da uno tsunami. Poveri, ma belli. Le persone erano consapevoli di aver vissuto un immane disastro, una tragedia storica incomparabile in cui l'Italia aveva recitato tutti i ruoli, del buono, del brutto, del cattivo. Gli italiani volevano lasciarsi il passato alle spalle. Cancellarlo per sempre. Ci liberammo dei Savoia, la peggior dinastia d'Europa, venne seppellito il fascismo, si riscrissero le nuove regole del gioco con la Costituzione. Ogni cosa era diventata possibile. Non tutto fu perfetto, non entrammo all'improvviso in un una terra dell'Eden, ma diventammo in pochi anni una delle prime potenze industriali. Si affermarono uomini come Olivetti, Mattei, Ferrari. Il Made in Italy divenne un marchio internazionale. I nostri nonni e bisnonni erano pienamente "consapevoli" della necessità di un cambiamento radicale, per questo riuscirono nell'impresa. L'Italia di oggi è ricoperta di macerie, come la Berlino di "Germania anno zero" di Roberto Rossellini. Le macerie sono, ma solo in apparenza, invisibili, sono macerie morali, politiche, industriali, sociali, umane, ambientali. Sono ovunque, come una metastasi ignorata da troppo tempo. Il bisturi della magistratura taglia e incide, ma sembra di fronte a un mostro dalle mille teste. Ogni giorno nuovi arresti di persone delle Istituzioni, episodi di corruzione, tangenti, mazzette. Piove merda, si sono all'improvviso aperte le cateratte della Seconda Repubblica. Ci siamo abituati al "puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità", come diceva Borsellino, e non riusciamo a credere alla possibilità di un mondo diverso. Siamo ipnotizzati da parole come "spread", "debito pubblico", "patto di stabilità" ripetuti come dei mantra. Siamo a un bivio come Nazione, come popolo. Nessuno deciderà per noi, nessuno ci darà aiuto, non ci verrà in soccorso una guerra per liberarci dalla classe politica peggiore dell'Occidente. O ripartiamo da soli o siamo condannati a un declino inarrestabile. Ne dobbiamo avere consapevolezza. Siamo a un bivio e nessuno può sentirsi escluso.
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di Beppe Grillo. La parola d'ordine dopo il 25 aprile del 1945 fu "ricostruzione". L'Italia era uscita distrutta dalla guerra con la volontà di ripartire, di cambiare tutto. C'era un senso di solidarietà, ci si aiutava l'uno con l'altro come capita ai sopravvissuti da un terremoto, da uno tsunami. Poveri, ma belli. Le persone erano consapevoli di aver vissuto un immane disastro, una tragedia storica incomparabile in cui l'Italia aveva recitato tutti i ruoli, del buono, del brutto, del cattivo. Gli italiani volevano lasciarsi il passato alle spalle. Cancellarlo per sempre. Ci liberammo dei Savoia, la peggior dinastia d'Europa, venne seppellito il fascismo, si riscrissero le nuove regole del gioco con la Costituzione. Ogni cosa era diventata possibile. Non tutto fu perfetto, non entrammo all'improvviso in un una terra dell'Eden, ma diventammo in pochi anni una delle prime potenze industriali. Si affermarono uomini come Olivetti, Mattei, Ferrari. Il Made in Italy divenne un marchio internazionale. I nostri nonni e bisnonni erano pienamente "consapevoli" della necessità di un cambiamento radicale, per questo riuscirono nell'impresa. L'Italia di oggi è ricoperta di macerie, come la Berlino di "Germania anno zero" di Roberto Rossellini. Le macerie sono, ma solo in apparenza, invisibili, sono macerie morali, politiche, industriali, sociali, umane, ambientali. Sono ovunque, come una metastasi ignorata da troppo tempo. Il bisturi della magistratura taglia e incide, ma sembra di fronte a un mostro dalle mille teste. Ogni giorno nuovi arresti di persone delle Istituzioni, episodi di corruzione, tangenti, mazzette. Piove merda, si sono all'improvviso aperte le cateratte della Seconda Repubblica. Ci siamo abituati al "puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità", come diceva Borsellino, e non riusciamo a credere alla possibilità di un mondo diverso. Siamo ipnotizzati da parole come "spread", "debito pubblico", "patto di stabilità" ripetuti come dei mantra. Siamo a un bivio come Nazione, come popolo. Nessuno deciderà per noi, nessuno ci darà aiuto, non ci verrà in soccorso una guerra per liberarci dalla classe politica peggiore dell'Occidente. O ripartiamo da soli o siamo condannati a un declino inarrestabile. Ne dobbiamo avere consapevolezza. Siamo a un bivio e nessuno può sentirsi escluso.
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