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Siamo il primo o l’ultimo anello della catena?

Creato il 26 febbraio 2012 da Lebarricate @gaetano_rizza

Siamo il primo o l’ultimo anello della catena?
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Prima era una battaglia politica, una battaglia sociale.
Destra contro sinistra, lavoratori contro padroni; più o meno sensibili ai diritti dei lavoratori contro chi in fondo non gliene importa più di tanto basta prendere qualche voto in più per stare nei posti di potere.
Adesso la crisi e i relativi provvedimenti che a livello nazionale e mondiale si stanno prendendo hanno cambiato il senso della lotta. Mentre prima gente come me, responsabile, stava a destra – convinta come era che la destra fosse un po’ come il buddhismo, ovvero una religione che non esclude le altre religioni, qundi, nella fattispecie, che la destra non escludesse le ragioni della sinistra, e che al contrario ce le avesse nel proprio dna – adesso sempre la gente come me, ha escluso le categorie destra e sinistra.
Le abbiamo escluse in quanto estremamente limitative e non più corrispondenti alla realtà che l’umanità sta vivendo.
La domanda che ci poniamo è se il cittadino comune, di cui è composta per la maggior parte l’umanità, è il primo anello della catena sociale oppure l’ultimo.
Chi si è fermato a dividere il mondo nelle vecchie categorie di destra e sinistra, oggi, nella situazione attuale, pare considerare il cittadino comune come l’ultimo anello della catena. La parte meno importante della società. La parte in eccesso, quella parte che si deve accontentare degli scarti di quello che pure ha prodotto, lasciando la prima scelta alle caste “superiori”, quelle che vivono e speculano sul lavoro del cittadino comune. Questo sia per la destra che per la sinistra, la quale anch’essa pensa al cittadino come all’ultimo anello della catena sociale, l’anello che semplicemente deve essere “sostenuto” perchè il più debole, perchè “l’ultimo”, appunto.
Per questo le vecchie categorie non servono più perchè superate da una consapevolezza diversa che stenta a farsi strada nella mentalità comune.
La consapevolezza che l’umanità, le civiltà, le società, e pure la stessa esistenza del mondo, hanno un qualche significato solo in quanto il perno di tutto è l’uomo comune, col suo lavoro e con il proprio male di vivere in questa parentesi dell’esistenza terrena. E questo a prescindere di una vita oltre questa vita, o di una completa inesistenza che cancellerebbe tutto di noi, se mai questo fosse possibile.
Per questo le società devono essere portate avanti, devono lavorare, per il benessere del cittadino comune e non per il benessere di pochi speculatori che vivono sul lavoro degli altri.
Per questo la società deve lavorare per mantenere, prima di tutto, nel migliore dei modi, i cittadini che riescono a raggiungere il traguardo di diventare anziani, e non, invece, come si tende a fare sempre di più, addossare loro delle responsabilità che non gli appartengono, e dirgli che si devono arrangiare con quello che in mezzo a mille difficoltà sono riusciti ad accantonare dandolo a qualche istituto previdenziale che poi svende i propri immobili – acquistati coi nostri soldi – a qualcuno che già vive a sbafo del nostro lavoro.
Quindi, ripeto il concetto, la società deve lavorare per gli anziani, e non sono gli anziani che devono sacrificarsi per la società.
Questo concetto sempre più di moda, che il governo in carica (sorretto dalle caste parassite) sta attuando senza remore, è incivile, è barbaro, è vecchio, è antico, e ognuno di noi deve sentirsi il dovere di combatterlo.
Non farlo è sintomo del sentirsi l’ultimo anello della catena.
Non farlo è sintomo di schiavitù!
IL CRONISTA


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