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Siamo in svendita?

Creato il 04 ottobre 2013 da Propostalavoro @propostalavoro

 Siamo in svendita?Il colpo di scena delle dimissioni dei ministri del Pdl ha un po' oscurato una vicenda che, in realtà, meriterebbe un'attenta riflessione: la vendita di Telecom alla società spagnola Telefonica, ultimo caso di azienda italiana che finisce in mani straniere.

Una lista ancora lunga, se si considera anche il caso Alitalia, prossima ad essere definitivamente acquisita da Airfrance, a prezzo di saldo. Di fronte a questi fatti, in molti hanno gridato allo scandalo, all'oltraggio all'italianità ed al saccheggio della nostra industria, invocando leggi contro lo scempio della svendita del nostro patrimonio economico.

Su questo punto, però, non è che ci sia molto da discutere: è la pura e semplice dinamica della moderna globalizzazione che, grazie alla rapidità dello scambio di informazioni – ormai in tempo reale -, alla maggior velocità e sicurezza nei trasporti di merci e persone, alla disponibilità di molti Governi di concedere vantaggi economici e/o fiscali alle imprese, ha reso il mondo più piccolo e permesso alle multinazionali più forti sia di spostare la produzione verso Paesi dai costi più contenuti, sia di acquisire più facilmente aziende straniere più deboli. Giusto o sbagliato che sia, questo è il momento storico dell'internazionalizzazione dell'economia, in cui le imprese non operano più a livello locale, ma globale.

La sola idea di poter contrastare o addirittura fermare questo processo è pura follia, perchè significherebbe tagliare fuori il Paese dal processo economico mondiale, chiuderlo in un recinto e costringerlo alla stagnazione. Una classe dirigente capace e intelligente, invece, dovrebbe provare a cavalcare il fenomeno e a spingerlo nella direzione giusta, favorendo, anzi, l'ingresso di investitori stranieri nella nostra economia. Una classe dirigente capace e intelligente, non ostacolerebbe le acquisizioni, ma opererebbe in modo che queste non intacchino la ricchezza nazionale, salvaguardando i posti di lavoro.

Come? Semplice, grazie ad una legislazione che incentivi le aziende acquirenti ad investire in Italia e ad incrementare la produzione nel nostro Paese, abbassando la pressione fiscale ad un livello accettabile, snellendo la burocrazia, potenziando il sistema formativo nazionale (scuola ed università) e sempre facendo attenzione agli interessi nazionali (come nel caso Telecom, ad esempio, scorporando la rete telefonica, che deve rimanere di proprietà dello Stato).

Una classe dirigente capace ed intelligente approverebbe l'ingresso di attori esterni, perchè spezzerebbero gli equilibri su cui si fonda il famoso – e famigerato – capitalismo di relazione, decretando la fine di quell'anomalia tutta italiana, per cui l'azienda non è più uno strumento per fare impresa, ma per procurare potere personale per se e per i propri complici.

Una classe dirigente capace e intelligente applaudirebbe per la fine di questo sistema che, ingabbiato da interessi particolaristici, prosciuga le imprese; arricchisce la corruzione; rende inefficiente e dispendioso il sistema industriale; ostacola la nascita di una nuova politica del lavoro, più attenta allo sviluppo e all'occupazione, senza per questo sacrificare salari e diritti dei lavoratori; crea casi come Fonsai, Parmalat, Protezione Civile e i mille altri scandali che hanno costellato le cronache degli ultimi anni.

Una classe dirigente capace e intelligente che, purtroppo, non abbiamo.

Danilo


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