Siamo in una Repubblica Presidenziale… a nostra insaputa. E forse è meglio così

Creato il 31 marzo 2013 da Iljester

Siamo in una repubblica presidenziale. Ci voleva un Presidente della Repubblica di sinistra per legittimare lo storico passaggio istituzionale da una repubblica parlamentare nella forma a una repubblica presidenziale de facto. Perché quanto è accaduto ieri, certifica la morte della forma parlamentare. E in un certo senso, non ci spiace: è stato dimostrato che nei momenti cruciali e di difficoltà, come quello attuale, un capo dello Stato politicamente autorevole e forte, capace di essere non solo guida istituzionale, ma anche politica, costituisce un punto di riferimento stabilizzante.

Ma ripercorriamo sinteticamente i fatti. Bersani – il non vincitore di queste elezioni – ha fallito su tutti i fronti. Non è riuscito a coagulare intorno a sé una maggioranza, e per due motivi: a) ha tentato di ghettizzare il centrodestra, cavalcando un patetico antiberlusconismo; b) ha inseguito Grillo, che gli sbatteva regolarmente la porta in faccia. Questo non è piaciuto a Napolitano, che premeva per un governo politico sostenuto dalle due maggiori forze politiche del Parlamento: il PD e il PDL, più Scelta Civica. Inoltre questa linea politica non è piaciuta nemmeno a una buona fetta del Partito Democratico, che nell’inseguimento di Grillo, intravedeva la mortificazione della linea politica di un partito che pretende (tutt’ora) di essere partito moderato di centrosinistra.

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Ecco dunque il caos istituzionale, frutto di due precise congiunture politiche: l’incapacità di Bersani di accettare la sconfitta elettorale e chiedere una mano d’aiuto a Berlusconi; il semestre bianco del Presidente della Repubblica, che non può sciogliere le Camere. La terza soluzione non poteva che essere un Governo del Presidente, cioè un governo “neutrale”, sostenuto da PD e PDL,  precettati e obbligati, a questo punto, a “obbedire” al Capo dello Stato.

Domanda: è o non è questa una Repubblica Presidenziale latu sensu? Quanto meno lo è (o lo sembra) in questo frangente, anche per la decisione di Napolitano di riunire un comitato di saggi ristretto con il compito di scrivere un programma politico che poi dovrà essere sostenuto dalle forze politiche in Parlamento. Decisione che indubbiamente va oltre il dettato costituzionale e i poteri del Capo dello Stato, seppure, in linea generale, non è contro la Costituzione, poiché il Presidente della Repubblica rappresenta l’unità nazionale e deve garantire il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche, mai come in queste settimane messe a dura prova dall’ottusità antiberlusconiana di una buona parte del centrosinistra.

Da un punto di vista prettamente politico, il decisionismo di Napolitano ha indubbiamente piegato il PD e ha cancellato le aspirazioni premieristiche di Bersani, che ora si ritrova a dover fare i conti con i suoi oppositori interni, e in particolare i dalemiani, i renziani e i veltroniani, correnti indubbiamente più moderate che premevano per un accordo con il PDL e Scelta Civica, non solo per le riforme istituzionali ma pure per la condivisione delle responsabilità di Governo, quantomeno per un programma limitato all’emergenza economica e alle riforme essenziali, in particolare la riforma della legge elettorale.

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Per quanto riguarda il PDL, leggo che nel più grande partito del centrodestra, vi è stata insofferenza per la decisione di Napolitano di non dimettersi e di riunire il comitato dei saggi. Ma potrebbe anche essere un malumore di facciata. In fin dei conti, la decisione del Capo dello Stato di non dimettersi anticipatamente ha certificato la linea vincente di Silvio Berlusconi e del suo partito, da sempre disponibili a una soluzione istituzionale dell’impasse politico. Inoltre, la scelta di Napolitano ha sicuramente rotto le uova nel paniere di Bersani, che invece premeva per le dimissioni immediate con l’obiettivo non troppo malcelato di piazzare al Colle l’ennesimo inquilino rosso, magari non inviso ai pentastellati e ostile al Cavaliere.

Insomma, per quanto sia stata costituzionalmente anomala la condotta del Presidente della Repubblica, sicuramente ha dimostrato la sua efficacia nel risolvere – almeno per il momento – la matassa politico-istituzionale a seguito del risultato elettorale di fine febbraio. A questo punto non ci resta che attendere i risultati della commissione presidenziale e l’evoluzione del gioco politico. Non possiamo non ricordarci infatti che fra quindici giorni, inizieranno le votazioni per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, che non potrà che essere condiviso quantomeno dal PD meno Bersani e dal PDL. Posso dire con una certa ragionevolezza che le sorprese non sono affatto finite.


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