Si lo so, la cronaca incalza con l’Alitalia, anzi meglio con i “capitani coraggiosi” sovvenzionati dalle poste con raccomandata di Letta e un milione di altre cose. Ma dopo l’uscita di Grillo e di Casaleggio sulla bontà del reato di clandestinità ne leggo di tutti i colori. E mai come in queste occasioni ci si accorge che la realtà sembra un puzzle di cui ognuno tiene una tessera senza riuscire a costruire un’immagine complessiva, un’immagine di mondo, ma soprattutto che non vuole farlo, che è convinto che il pezzo nella sua mano sia tutta la realtà. In qualche decennio una cultura velenosa ci ha fatto diventare come i bachi di Feuerbach: la nostra foglia di gelso è diventata l’infinito perché solo una piccola minoranza – magari quei 200 mila individui che detengono 45 triliardi di dollari vale a dire quasi la totalità del pil mondiale – possa servirsi della seta.
Così gli stessi che decretano l’inutilità dello stato, anzi la sua negatività poiché contiene quei principi di cittadinanza e di solidarietà che sono solo un costo, un attentato al profitto individuale, sono poi quelli che sfruttano gli istinti di appartenenza più rozzi per imporre un senso di precarietà e di paura che faccia passare la “necessità” dell’impoverimento. In questo senso siamo tutti clandestini: quelli che fuggono dai regimi creati dalle multinazionali o dal cinismo delle segreterie di stato complici delle prime, sia quelli che li accolgono, sottoposti in altro modo alla spoliazione. Se poi questo porta ad aderire ai movimenti di ultradestra fautori dell’inviolabilità delle frontiere, ma anche della infinita libertà di profitto, tanto meglio.
La confusione regna suprema, ma non ci aspetterebbe di trovarla anche in chi dedica la propria vita alla “ricostruzione” del disegno globale. Così Zygmunt Bauman, inventore della società liquida e di tutte le successive liquidità di ogni tipo, ci dice, interrogato in merito al nobel per Lampedusa, che tutto questo accade perché la migrazione, che ha accompagnato la modernità fin dai suoi inizi, produce persone “inutili” che tendono perciò a spostarsi dove ritengono ci siano condizioni migliori. Lasciamo stare la mania vetero novecentesta che manipola a suo piacimento i termini di modernità e tecnica, ignara che la storia umana è esattamente la storia della grande migrazione che ha permesso il diffondersi della specie su tutto il globo, che il mischiarsi è un destino scritto nel Dna e che la tecnica è il modo fondamentale dell’essere nel mondo dell’uomo. Sono questioni che riguardano la filosofia. Ciò che sorprende è che Bauman non sembra minimamente chiedersi e interrogarsi su una società dove gli uomini possano essere considerati inutili come bovini in una comunità di vegani. E’ davvero straordinario che tutto questa venga accettato dall’illustre sociologo come se fosse una realtà data e immutabile, la filigrana delle cose, che gli sfugga che non sono le macchine in sé a rendere inutili le persone, ma il fatto che esse siano utilizzate solo nella logica del profitto e dell’accumulazione di capitale. Anzi le macchine stesse per loro natura reclamano dei “consumatori”, ovvero i proletari del prodotto.
E’ del tutto evidente che Bauman è vittima dell’egemonia culturale liberista che impone di districarsi tra ciò che è senza minimamente interrogarsi su come si possa trasformare. E tuttavia in un senso diverso ha ragione nella sua tesi degli “inutili” e a collegarla in qualche modo agli attuali fenomeni migratori. Ma le macchine e le sue concezioni un po’retro non c’entrano proprio, c’entra anzi l’esatto contrario: ovvero che non solo il lavoro umano, ma anche le macchine servono sempre di meno. Il fatto è che da tempo il rendimento di capitale oltrepassa costantemente il tasso di crescita della produzione e del reddito, umiliando così il lavoro, portandolo ai suoi minimi termini insieme ai diritti conquistati e connessi, creando ineguaglianze insostenibili e arbitrarie che stanno svuotando le democrazie. Quando il denaro è investito in denaro, cosa dimostrata dal fatto che i titoli finanziari valgono 7 volte il Pil, è proprio la modernità che se ne va a farsi friggere in favore di un nuovo medioevo. Questo accade sia dentro i Paesi che tra i Paesi e le aree del mondo ed è per questo che siamo tutti realmente clandestini delle nostre speranze.