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Siamo tutti tartarughe.Ci portiamo appresso il nostro guscio e sappiamo alla perfezione quando ritirare testa e gambe agli attacchi esterni. Da bambini, quando vedevamo una tartaruga, ce lo chiedevamo sempre: come ha fatto quel grazioso animale dalla testolina piatta a finire intrappolato in quella corazza così massiccia? Poi, da grandi, lo abbiamo capito: il carapace è parte di lui, è la sua pelle ruvida e verdognola che, in punto preciso ma introvabile, perde la sua natura molle e diventa dura come un sasso.Il nostro guscio non è una trappola in cui siamo finiti per sbaglio. E’ parte di noi da sempre.Camminiamo dunque lenti a causa del fardello che ci trasciniamo addosso, e ogni piccolo passo avanti ci costa fatica. Ma siamo animali a sangue freddo. Quando i raggi di sole si scagliano violenti sulla nostra corazza, una strana adrenalina ci circola dentro, un fluido eccitante e benefico, e le nostre gambe non sono più rigide e pigre. Il nostro passo si fa veloce e corriamo a sperimentare terreni di cui non immaginavamo l’esistenza. Il guscio, d’improvviso, sembra ora leggero come una bandiera di carta velina che, mossa dal vento, ci suggerisce la direzione dei nostri passi. Non siamo più lenti quando il sole ci batte addosso, colmare distanze impossibili ci sembra, adesso, ridicolmente facile. Ma poi, inevitabile, arriva la notte. La corazza, nostra croce e delizia, torna a schiacciarci a terra con il suo peso. E ritiriamo braccia e gambe come fossero i remi di un’imbarcazione giunta al porto sicuro. La corazza ci dà sicurezza ma inibisce i nostri passi. Con la testa al sicuro nel guscio, non possiamo fare altro che aspettare il mattino che verrà, nella speranza che i raggi di sole, ancora una volta, ci lasceranno dimenticare per qualche ora il nostro fardello.
E sognare i meravigliosi luoghi lontani che potremmo raggiungere se fosse possibile lasciarci alle spalle il nostro guscio per sempre, come fa un serpente con la sua pelle dopo la muta.