di Giuseppe Leuzzi. Per stasis, guerra civile, Platone intende, secondo Nicole Loreaux, sulla cui lettura Agamben articola il primo intervento, la pratica ateniese della litigiosità. E più in famiglia e tra famglie, nella coppia, tra padri e figli, tra figli. Che , dice Platone, “Repubblica”, 471, “si combattono come se fossero destinati a riconciliarsi”. E questo è Hobbes, quello dell’homo homini lupus, oggetto del secondo saggio del volumetto. Ma l’Hobbes di questo Agamben è un altro: è quello del frontespizio del “Leviatano”, e della parte III dello stesso libro, che tratta della politica come teologia. Per finire col dare ragione a Carl Schmitt che la teologia politica ha anticipato – Agamben dopo Tronti. Rafforzandolo con la lettura di san Paolo – che è quella di Taubes, che Agamben non cita.
Un libro inconclusivo. Collegabile a “Homo sacer”, ma come divagazione. Agamben stesso non vuole riempire il vuoto – tentare una teoria generale della guerra civile. Si propone di analizzarne due concezioni, quella di Hobbes e quella greca, di Socrate-Platone-Aristotele. Ma poi solo su questa si attarda, e solo nella lettura di Nicole Loreaux, che la vita politica assimila a quella familiare. Un approccio, malgrado tutto, bizzarro. Concludendo, con molti salti, che il terrorismo è la nostra storia: “Non è un caso se il «terrore» ha coinciso col momento in cui la vita come tale – la nazione, cioè la nascita – diveniva il principio della sovranità. La sola forma in cui la vita come tale può essere politicizzata è l’esposizione incondizionale alla morte, cioè la vita nuda”.
Una conclusione aggiunta – i due testi che si esumano sono di due seminari a Princeton dell’ottobre 2011, subito dopo l’11 settembre? E il “terrore” che coincide con la nazione, con la sovranità, sarà quello di Robespierre? Ma la nazione era già nata. La guerra, certo, è sempre tra esseri umani, di qualsiasi nazionalità.
Giorgio Agamben, Stasis. La guerra civile come paradigma politico. Homo sacer, II, 2, Bollati Boringhieri, pp. 74, ill. € 14