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Siamo tutti ungerziefer

Creato il 23 ottobre 2012 da Wsf

Racconterò di noi.

Se vi consola immaginarlo distante da voi, chiamatelo pure Gregor o Franz. Non ha importanza come lo qualificherete, perché nella costruzione cognitiva che gli altri hanno di voi, come appendice all’immagine radiosa che si sono fatti rispetto alla vostra persona, ce ne sta un’altra. Assomiglia a uno spettro che è pronto a balzare fuori dall’ombra in cui viene tenuto a bada. È quell’indefinito, misero e potenziale ungeziefer che si metamorfosa sulle vostre spalle.

Ciò che gli altri immaginano di voi, compone – come un puzzle – ciò che siete. Lo hanno detto milioni di grandi studiosi che non avevano nient’altro da fare che formulare teorie su come ci rappresentiamo e su come ci rappresentano gli altri. Ma, se consideriamo i naturali margini di errore, questa rappresentazione si trasforma, muta, cambia aspetto e asseconda una o l’altra preferenza nella diade buono-cattivo. In sostanza cambia al mutare della corrispondenza tra ciò che siete e ciò che gli altri pretendono da voi.

Gregor Samsa siamo tutti noi. Franz Kafka, costruendo il racconto “La metamorfosi”, non era stato poi così tanto fumoso nel sospingerci l’idea. Né parlava solo della sua malattia e della sua solitudine come preludio alla sua morte. Il suo personaggio è un lavoratore che, scoprendosi d’improvviso scarafaggio, tenta di nascondersi per non farsi scoprire dalla sua famiglia. Ma ben presto i genitori, il datore di lavoro e la sorella lo trovano, provando per lui solo schifo e orrore. Grete, la sorella, mossa da un istinto di pietà all’inizio gli dà qualcosa da mangiare. Ben presto, però, lo lascia morire. In fondo, Gregor non serve più a nulla e peggiora solo e soltanto le finanze della famiglia. Questo in estrema sintesi.

Gregor-Franz-Noi è sostanzialmente un individuo che, nel momento in cui non serve più a nessuno e si ammala di una delle tante patologie sociali, vede trasfigurare ogni aspetto della propria vita. Il suo lavoro non esiste più. Il suo corpo è talmente tanto orripilante che terrorizza chiunque si imbatta in lui. Sul dorso, la sua corazza rigida non lo salva dalle ferite. Le gambette gli permettono di sgattaiolare in fretta, certamente. Ma la sua presunta velocità o la possibilità di andarsene per le pareti della sua stanza servono solo a perimetrare il percorso che diverrà la trappola nella quale morirà. Un’alienazione e una spersonalizzazione che non sono surreali, né solo dovute ad un momento di angoscia. Nessuno bacia il brutto addormentato e il personaggio muore insetto.

Ora potete anche scostare la faccia da queste righe “qualunquiste”, pessimiste e apparentemente imbevute di luoghi comuni. Ma siamo tutti Gregor nella testa degli altri, anche se in forma latente.

Quotidianamente aggiustiamo il tiro per non dare fastidio, per non litigare, per piacere, per non perdere il posto di lavoro, per essere salutati ancora, per non farci insultare, per essere riconosciuti tra i colleghi, per farci trovare belli, per non perdere soldi, per non perdere la faccia. Tutto questo per respirare con gli altri. Aggiustiamo il tiro a ogni ora per non essere lasciati al nostro destino. Ma non siamo pronti a confessarlo.

Gregor è quella parte di noi che si affatica ogni giorno per costruire l’immagine nella testa degli altri e questa immensa corsa quotidiana, per migliorare e non peggiorare la conseguente considerazione, fa di noi un ungeziefer. Per non essere uno scarafaggio ci basterà servire a qualcosa, per più tempo possibile.

Perché siamo tutti Gregor.

(Liberamente ispirata a “La metamorfosi” di Franz Kafka)


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