mercoledì 24 ottobre 2012 di Chiara Mazzola
Giusto un paio di giorni fa la Fornero ha dimostrato per l’ennesima volta quanto profondo sia il divario tra chi sta al governo e chi ne subisce i provvedimenti.
Inizialmente era il suo vice, Martone, a spararle grosse e a fare incazzare la gente: «Chi si laurea dopo i 28 anni è uno sfigato» disse, con fare sentenzioso, riportando alle nostre menti sgradevoli ricordi, come la definizione di “bamboccioni”, colataci addosso dall’alto pulpito di Brunetta.
Gli Italiani sono quelli che vivono in casa con la mamma perché se la passano meglio, sono quelli che studiano per copertura del cazzeggio quotidiano, sono quelli che arricciano il naso se gli si palesa la possibilità di lavorare come camerieri.
Quanti stereotipi ha costruito la classe politica per incularci meglio in tempo di crisi?
Quale idea migliore, d’altronde, che far ricadere la colpa di un’ingiustizia sulla stessa vittima che l’ha subita? Non è colpa della crisi, ragazzi, è colpa vostra se siete falliti, mammoni, scansafatiche, sfigati, inetti, decerebrati, presuntuosi, arroganti, buoni a nulla, sfaccendati, monotoni, mezze seghe, laureati. O non laureati, non importa, tanto voi giovani siete tutti uguali.
È forse banale invitare i politici a verificare di persona le situazioni che vanno a giudicare così repentinamente, con una offesa sommaria sputata in faccia alla gente da ogni telegiornale, emessa sulla base – forse – di qualche statistica (“La statistica è lo strumento di chi rinuncia a capire per poter manipolare” – Nicolás Gómez Dávila): eppure, risulta essere necessario.
Tra i bamboccioni c’è gente coraggiosa, che lotta per poter finalmente avere un proprio spazio sia nella società sia nella vita privata. I bamboccioni più fortunati lavorano gratis, fanno mesi di tirocinio e stage non retribuito, oppure si dedicano al volontariato nell’attesa di un impiego.
Altri sono invece studenti per i quali l’università è un lusso che non potrebbero permettersi: non tutti vincono la borsa di studio, magari rimangono in coda a causa di qualche evasore fiscale, e il numero delle frodi emerso da quando Monti è al governo ne è una conferma.
Alcuni di questi bamboccioni hanno genitori ai quali è stato tagliato lo stipendio, o trattenuto, o ai quali è stata tagliata la pensione (la prima bella mossa per salvare l’Italia dalla crisi), o congelata (il caso degli esodati, la ministra, se lo ricorda?).
Alcuni bamboccioni hanno dovuto iniziare a lavorare perché il padre, che mandava avanti la baracca, è stato licenziato.
Sotto certi punti di vista sono proprio sfigati, ‘sti ragazzi. Ma forse, più che sfigati direi “sfortunati”. Sfortunati a non avere una mamma che ha lavorato come vicepresidente della banca Intesa San Paolo. Già.
Tra gli schizzinosi che conosco ci sono un paio di colleghi universitari che oltre a studiare fanno i camerieri, un mio amico laureato in Economia che lavorava da Mc Donald, qualche altro collega che viene pagato qualche centesimo al minuto sulle telefonate in un call center. Conosco ragazzi laureati che si sbattono per essere assunti in qualche cucina o in qualche negozio, e altri che, non studiando, cercano disperatamente lavoro nei centri commerciali, nelle aziende, come tutto-fare: e tutto quel che trovano è un lavoro di 13 ore porta-a-porta, in cui devono vendere aspirapolveri lussuosissime o contratti ingannevoli.
La ricerca del lavoro non è localistica, ma d’altra parte a volte sembra quasi inutile cercare “altrove”. Credo esista un “paradiso dei curricula” (camuffando una bellissima canzone di V. Capossela), una specie di luna ariostesca dove si conservano tutti i cv inviati da Palermo al resto d’Italia: come se non arrivassero, come se si disintegrassero nell’etere, non ricevono mai una risposta.
Ci è stato anche detto, infine, che il posto fisso è monotono: in un Paese dove il licenziamento, le aziende in fallimento, le mancate retribuzioni, il lavoro in nero strangolano i cittadini e, cosa più importante, i consumatori e il loro potere d’acquisto, dire una frase del genere equivale a tacciare di vittimismo gli appestati di un lazzaretto.
Aumentate le tasse, sostenete la meritocrazia piuttosto che le pari opportunità, ma per favore: almeno smettetela di essere così superficiali, di ergervi a giudici e di romperci i coglioni (come disse l’operaio sardo all’ex ministro Roberto Castelli – Servizio Pubblico, 26/01/2012).