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Sibilla, la Prima Donna

Creato il 24 ottobre 2011 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Sibilla, la Prima Donna«[…] Cuneo possente e pazïente, e al vago / declivio il dolce Mondoví ridente, / e l’esultante di castella e vigne / suol d’Aleramo; [...]» (Giosuè Carducci, Piemonte). Dai versi di questa poesia, l’editore Giovanni Cena diede vita allo pseudonimo di una delle scrittrici più importanti del Novecento: Sibilla Aleramo. Prima di diventare uno dei nomi più prestigiosi della letteratura femminile, Rina Pierangeli Faccio era una giovane donna come tante. Nata ad Alessandria, a soli sedici anni fu costretta ad un matrimonio riparatore dopo uno stupro perpetrato dallo stesso futuro marito. Fu questa sua vita così infelice e ipocrita che la portò a rifugiarsi “in una stanza tutta per sé” fatta di libri e articoli. A poco a poco la sua passione divenne lavoro. Il 3 novembre 1906 la Aleramo festeggia la sua nascita come scrittrice. Non a caso, la data coincide con l’uscita del suo primo libro “Una donna”. Un’autobiografia, un percorso psicologico dove cerca di liberarsi da mille conflitti e tabù. Il diario di vita è strutturato in tre parti: le prime due simmetriche, l’ultima finale. Il linguaggio è quello semplice di un’autodidatta con alcune forme linguistiche arcaiche, tipiche dei primi del secolo. Mantiene sempre una forma di anonimato dei personaggi, per esempio non citerà mai il nome del figlio né tanto meno quello del marito. Il libro ripercorre gli anni dell’adolescenza e della vita matrimoniale. Una giovane fanciulla che diventa donna, che scopre pian piano sentimenti ed emozioni che mai avrebbe immaginato di provare. Un cuore lacerato da un conflitto emozionale con la madre ammalata, un padre distante da lei e dai fratelli, un marito che non la ama. Cosa resta alla giovane Rina? La sua unica gioia è il figlio Walter. Dopo un primo aborto, il rifiuto della maternità, è l’arrivo di questo pargolo ad allietare i giorni che passa costretta tra le quattro mura della casa maritale. Questo romanzo di formazione è indirizzato al figlio, un mea culpa per averlo abbandonato in tenera età.

Sibilla, la Prima Donna

Del resto la forte personalità di questa donna, la fa diventare sprezzante contro le leggi e le convenzioni antiquate di un’Italia di fine Ottocento fortemente borghese. Il codice di famiglia del 1865 considerava la moglie ancora come un oggetto del quale il marito poteva disporre; le donne in effetti non avevano il diritto di esercitare la tutela sui figli legittimi, né tanto meno quello di essere ammesse ai pubblici uffici, non potevano gestire i soldi guadagnati con il proprio lavoro. Questi continui limiti logorano Rina per ben dieci anni, prima di trovare il coraggio di lasciare il marito e di conseguenza abbandonare il figlio. La svolta giunge nel momento in cui ritrova un vecchio diario della madre: anch’essa aveva patito le sue stesse sofferenze, la sua insoddisfazione, ma, rimasta, aveva pagato la sua scelta perdendo pian piano il lume della ragione. L’allusione ad un amante, ma soprattutto la scelta profondamente egoistica di abbandonare il tetto coniugale, fatto di abusi e soprusi, fanno di questo testo un romanzo di rottura. L’Italia cambia, si sta evolvendo, ecco perché l’autobiografia riesce a catturare un pubblico vasto. C’è bisogno di una voce fuori dal coro. Rina sposa a pieno le tematiche socialiste e femministe, infatti, si considera questo romanzo come la prima vera opera femminista. Siamo di fronte alla morte metaforica per la perdita del figlio (affidato al padre) ed alla rinascita di una nuova vita fatta di passioni letterarie ed amorose. Dopo “Una donna”, continua sulla scia del genere autobiografico con “Il passaggio”, scrive poi “Amo dunque sono”, “Il frustino”, “Lettere a Elio” ed alcune raccolte di poesie. Ebbe moltissime relazioni anche a carattere omosessuale, la più nota con la Duse. Sicuramente il suo più grande amore fu però Dino Campana, un rapporto che durò dal 1913 al 1918, e che cessò a causa della pazzia dello scrittore. Intensissime le loro lettere. Scrive così Sibilla a Dino nel 1917: «Dicevi ch’eri tu che mi amavi, Dino? Sono io, sono io che amo te». Fa un certo effetto leggere parole così decise dalla penna di una donna che nel cuore aveva il fallimento brutale di un matrimonio. Dalle pagine del testo colpisce l’attualità di questa opera, che dovrebbe essere un conforto per alcune donne e uno sprone per altre. Fino ad allora mai si erano affrontate tematiche così schiette e concrete, la donna smette i panni di angelo del focolare. Come un’altra sua grande contemporanea, Virginia Woolf, la Aleramo rivendica la parità dei sessi. Se è pur vero che siamo lontani dalle richieste delle suffragette, avendo ottenuto il diritto al voto nel 1946, su molte altre questioni la società non ha la stessa considerazione per entrambi i sessi; di certo, il modo migliore per appianare le distanze, ad esempio in politica, non è rappresentato dalle quote rosa. Ancora a distanza di più di un secolo Rina fa sentire la sua voce.


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