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Sicilia, campagna elettorale sniff sniff

Creato il 19 settembre 2012 da Albertocapece

Sicilia, campagna elettorale sniff sniff. Liberi di non crederciLicia Satirico per il Simplicissimus

La campagna elettorale per il rinnovo dell’assemblea regionale siciliana ha toni lisergici: si va alle urne in un crescendo rossiniano politico, familistico, sociologico, mistico e talora ormonale. Il candidato Pd-UdC Rosario Crocetta ha fatto voto di castità in caso di vittoria. Don Raffaele Lombardo, grande regista occulto, ha approfittato della sua teatrale uscita di scena per inserire il figlio T(r)oti nelle liste dell’Mpa, all’insegna del motto “Liberi di crederci”. Cateno De Luca, candidato di Rivoluzione Siciliana indagato per tentata concussione e falso in atto pubblico, gioca col proprio nome senza timore di evocare i ceppi e si battezza “Scateno”.

Mentre in rete si diffonde un virale spot fasullo di Domenico Scilipoti, il candidato del Pdl, Nello Musumeci sceglie lo slogan-excusatio non petita “governare, con onestà”: proprio come se la regola del Pdl fosse, guarda caso, l’esatto contrario. I candidati presidenti litigano tra loro: Fava contro Crocetta sui rapporti con Lombardo, Musumeci contro il Micciché “autonomista” e Micciché contro il Musumeci “pentito”. Corrono voci trimalcioniche sulle spese folli della campagna elettorale e cresce la diffidenza dei siciliani: secondo un sondaggio Demopolis più di due milioni di elettori diserteranno le urne.

Gianfranco Miccichè, candidato di Grande Sud sostenuto da Raffaele Lombardo, si è inserito a gamba tesa nella campagna elettorale di Münchausen, sbaragliando subito la concorrenza. Qualche giorno fa, durante la trasmissione “La Zanzara” di Radio 24, l’ex fedelissimo della scuderia Publitalia di Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri ha detto di aver fatto uso di droghe pesanti, ma di non essere mai andato ad escort, manifestando il vago sospetto che l’antico mentore e generoso finanziatore (pare che gli abbia comprato casa a sua saputa) avesse debolezze diverse dalle sue. Poche ore fa, a SkyTG24, Miccichè si è detto certo in cuor suo che i misteriosi conti sudamericani della famiglia Dell’Utri siano stati “una generosità di Silvio Berlusconi”: un avversario politico ma un tesoretto di amico.
Non sappiamo se l’ex ministro e viceministro rinnovi ancora le antiche consuetudini che lo hanno accompagnato, pare, sino agli uffici del ministero delle finanze. Di certo sappiamo, invece, che ricicla le antiche dichiarazioni. Sul suo blog l’aspirante presidente della regione ha proposto, ieri come nell’ottobre 2007, di intitolare a Falcone e Borsellino le coscienze dei siciliani e i luoghi di rappresentanza istituzionale, ma solo quelli: «ritengo – scrive Miccichè – che sia una scelta di marketing sbagliata, per un territorio a vocazione turistica come il nostro, intitolare un luogo di partenza e arrivo come l’aeroporto alla memoria dei propri eroici caduti. Non ci si presenta ai tanti turisti che accoglie la Sicilia con il sangue di una delle più profonde e, ancora non sanate, ferite della nostra terra».

Insomma, non ci si può mica offrire ai visitatori impressionabili con l’antiestetico sangue dei morti di mafia appiccicato addosso, correndo il rischio di far capire agli stranieri che in questo territorio si può morire anche di legalità se ci si crede troppo. Per il leader di Grande Sud la lotta alla mafia deve interiorizzarsi in una dimensione metafisica, che consenta di coesistere con l’imbarazzante realtà della criminalità organizzata. Miccichè, d’altronde, è quello che nel 2001 prese le difese di Pietro Lunardi dopo le dichiarazioni dell’allora ministro delle infrastrutture sulla necessità di convivere con mafia e camorra, rincarando la dose: «se per fare gli appalti dovessimo aspettare che finisca la criminalità mafiosa, allora non partiremmo mai». La mafia fa schifo, come disse l’Udc dei tempi di Totò Cuffaro, ma gli affari sono affari.

È proprio vero che la mafia è una ferita non sanata. Lo sarà fin quando verrà considerata una bruttura da nascondere al pubblico per esigenze di marketing, un problema di coscienza e non di sostanza. Lo sarà fin quando il nome delle vittime di mafia sarà utilizzato impunemente in campagna elettorale per sostenere teorie sconcertanti sulla corretta accoglienza da riservare ai turisti. La Sicilia è un laboratorio avanguardista di Stato e antistato, di economia lecita e illecita, di assalti e appalti, di alleanze politiche trasversali che si reincarnano in sfingee figure prototipiche. Sì, perché non c’è davvero nessuna promessa di riscatto morale in un candidato come Gianfranco Miccichè, che viene dal marketing, da Dell’Utri e da quel Pdl che, a suo stesso dire, in Sicilia ha dirigenti privi di grandi capacità politiche.

Il richiamo oltraggioso alla memoria dei caduti di mafia pone il problema di una regione senza memoria, incapace di fare i conti col proprio passato come col proprio presente sullo sfondo dell’onnipresente don Raffaele.

Il 28 ottobre si avvicina e noi vediamo sfilare nuovi figli di vecchi padri o di vecchi padrini, ibridi laicocrociati e pidiellini mutanti in vena di riscatto. Siamo però sicure di una cosa, nella nostra coscienza non suscettibile di toponomastica: che a nessuno verrà mai in mente, un giorno lontano, di intitolare a chi ha le idee di Miccichè un aeroporto, una rotonda o anche solo un segnale di stop.


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