Licia Satirico per il Simplicissimus
«Voglio spezzare una lancia in favore dei cannoli: sono un patrimonio della Sicilia, non di Cuffaro». Così, annunciando libagioni ipercaloriche in caso di vittoria, Rosario Crocetta ha commentato la propria candidatura alla presidenza della Regione Sicilia, sponsorizzata dall’asse Pd-Udc. Negli ultimi giorni l’ex sindaco di Gela, noto per il suo impegno antimafia, si è lasciato andare in verità a dichiarazioni alquanto singolari: della sua alleanza con l’Udc dice che ricorda quella di Berlinguer con la Dc, del cuffarismo sentenzia che è una stagione chiusa (a Rebibbia insieme a Cuffaro). Afferma infine che più a sinistra di lui c’è solo Renato Curcio, chiamando in causa pure il noto brigatista rosso con una provocazione a dir poco sconcertante. Crocetta ha dichiarato, tra le altre cose, di non conoscere Lombardo, omettendo però di precisare che Lombardo sarebbe il mefistofelico proprietario ignoto di una casa da lui affittata a Bruxelles, come ha spiegato il Simplicissimus.
Rosario Crocetta è certamente un personaggio fuori del comune: simbolo della lotta alla mafia, vittima designata di progetti di attentato sventati dalla magistratura, l’europarlamentare, poliglotta e poeta, è stato il primo sindaco dichiaratamente omosessuale della storia d’Italia. Sui matrimoni gay e, in generale, sui diritti civili, il candidato governatore pensa che “un dialogo con l’Udc sia possibile”. Forse l’Udc siculo è, a nostra insaputa, di vedute più aperte rispetto a Pierferdinando Casini, che ha bollato come incivili le nozze gay poche settimane orsono.
Fino ad oggi Rosario Crocetta è stato considerato, come tutti i simboli, scevro da inciuci, severo, coerente. Vorremmo allora capire cosa spinga un personaggio-simbolo della lotta contro la mafia a cercare il compromesso vincente per cambiare ruolo e linea politica, diventando il candidato ufficiale di un partito già smembrato dall’alleanza schizofrenica con Raffaele Lombardo. I sostenitori di Lombardo sono ora sostenitori di Crocetta, che fino a qualche settimana fa sarebbe apparso come l’antitesi del governatore dimissionario. Lombardo, nel frattempo, lancia il “Partito dei siciliani” e sbugiarda l’aspirante successore sulla storia dell’appartamento belga.
La zampata lombardiana rischia peraltro di non essere l’unica. Mentre Crocetta tesse le lodi dell’Udc per la decisione di non candidare indagati nelle sue liste, l’Udc non manifesta lo stesso entusiasmo. Il senatore Giampiero D’Alia, coordinatore regionale dell’Udc, dichiarava appena dieci giorni fa al quotidiano La Sicilia: «pur di non votare Crocetta sarei disposto a votare Saverio Romano». Sì, proprio il Saverio Romano variamente indagato per concorso esterno in associazione mafiosa ed assolto per insufficienza di prove: dal punto di vista tecnico, uno stinco di santo candidabile nelle liste elettorali.
Questa volta Crocetta rischia di farcela. Sarà una vittoria facile ma insidiosissima: facile per la disintegrazione del Pdl, spaccato sulla candidatura di un Gianfranco Miccichè che già annuncia di voler “derattizzare” la burocrazia. Facile per le divisioni di Idv e Sel sulla candidatura parallela di Claudio Fava. Facile per il probabile sostegno della curia siciliana, che, nonostante smentite ufficiali, sta scendendo in campo con il movimento “Uomini nuovi per una società di uguali e partecipi”, fondato da tale padre Lupo omonimo del segretario regionale Pd. Insidiosa per l’appoggio di un partito che in Sicilia è sempre stato decisivo nelle scelte di potere, centrale – nel bene e nel male – nelle vicende politiche degli ultimi vent’anni: da Cuffaro a D’Alia, dai cannoli agli incensurati, l’Udc siciliana ha ben incarnato, con Forza Italia e lo stesso Lombardo, il sistema politico clientelare di democristiana memoria. La sua capacità di sopravvivenza è stata pari a quella di rinnovamento: ora il nuovo ha il volto accigliato di Crocetta, nemesi storica dei partiti cattolici e di quelli laici.
L’Udc rinuncia alla mafia, Crocetta riabilita i cannoli. Su tutto spicca la mancanza di un progetto credibile di rinascita, di una cultura della legalità, di piani di risanamento economico e morale di una Regione in ginocchio: stuprata da tanti inganni, abituata alle metamorfosi apparenti, vittima di immobilismo vischioso, la Sicilia è stanca di gattopardismi, di equilibri impossibili, di compromessi storici. Non basta il vessillo della lotta alla mafia per risanare una regione in bancarotta, dove i deputati regionali sono scesi in agitazione per non aver ricevuto il loro argent de poche di 13.000 euro al mese. Non bastano gli eroi, le icone, i patti per la salvezza. E non basta nemmeno l’annunciato tramonto del centro-destra: non vorremmo dover constatare che la destra si è spostata a sinistra, con tanto di clerici, in attesa di tempi migliori.
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