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Sicurezza alimentare in balìa del meteo

Creato il 08 gennaio 2016 da Informasalus @informasalus
CATEGORIE: Attualità , Alimentazione
clima
Tre eventi catastrofici potrebbero essere sufficienti per affossare l’agricoltura mondiale

I Lloyd’s di Londra avvisano: tre eventi catastrofici potrebbero essere sufficienti per affossare l’agricoltura mondiale, con una fiammata dei prezzi e un crollo dei listini azionari. Tutto partirebbe da El Niño.
Il pacco di riso dentro il carrello della spesa è passato da 2 a 10 euro? Le azioni nel portafoglio titoli di un piccolo risparmiatore sono crollate del 10%? Alzare gli occhi al cielo potrebbe essere, per una volta, la risposta migliore a tante domande: proprio da lì potrebbe infatti arrivare un evento meteo talmente imponente da mettere in ginocchio l’agricoltura mondiale e, con una rapida reazione a catena, attivare una crisi talmente potente da squassare le Borse, i sistemi economici e gli assetti sociali. Un’immagine da disastermovie applicato al mondo della finanza e dell’economia globale.
A partorirla non sono però gli sceneggiatori di qualche major di Hollywood. È invece descritta, nel dettaglio, da un rapporto (Food system shock) commissionato dai Lloyd’s di Londra a climatologi, economisti ed esperti di sicurezza alimentare. Un sistema fragile, quello agricolo, secondo quanto emerge dal report. Perché tre catastrofi meteo sarebbero sufficienti per scuoterlo alle fondamenta.
REAZIONE A CATENA GLOBALE
«Questo rapporto è stato realizzato per aiutare i nostri sottoscrittori a identificare gli impatti della sicurezza alimentare, spesso trascurati in precedenza», spiega Vittorio Scala, country manager dei Lloyd’s in Italia. «Per questo abbiamo chiesto ad alcuni esperti di sviluppare uno scenario realistico di uno shock nella produzione globale dei cereali per scopo alimentare e di descriverne gli impatti a cascata». Gli analisti dei Lloyd’s sono quindi partiti dall’ipotesi, per nulla irrealistica, di una forte attività di El Niño, la corrente anomala calda che si sviluppa nell’oceano Pacifico centrale tra dicembre e gennaio in media ogni cinque anni e permane attiva per molti mesi. Esattamente quello che i climatologi stanno constatando a partire dall’inizio del 2015.
Dalla sua azione s’innescherebbe tutto: inondazioni in Mississippi e Missouri con conseguente riduzione dei raccolti di mais (-27%), soia (-19%) e grano (-7%). Gravi siccità dall’India meridionale al Sud-Est asiatico fino all’Australia (dimezzato il mais prodotto in quel quadrante). Al contrario, piogge torrenziali danneggerebbero le coltivazioni di cereali nell’area compresa tra Pakistan, Nepal e Bangladesh e Vietnam (a partire dal riso, con percentuali tra 6 e 20%).
A questo quadro già allarmante, si assocerebbero altri due fenomeni: la diffusione della ruggine del frumento (che dalla Russia si espanderebbe fino in Argentina come una pandemia) e temperature molto calde in America Latina. Risultato? Il prezzo delle commodity crescerebbero di quattro volte, con un record, per il riso, del 500%. A quel punto, lo shock agricolo innescherebbe una reazione a catena con conseguenze sull’economia reale e sui listini azionari: le principali Borse europee – sempre secondo i Lloyd’s – perderebbero il 10% del loro valore, mentre quelle del Nord America il 5%. Al tempo stesso, la scarsità di accesso al cibo provocherebbe rivolte nelle aree urbane del Medio Oriente, del Nord Africa e del Sud America, con un aumento dell’instabilità politica e danni per le imprese di molti settori produttivi. Un’Apocalisse, o giù di lì.
ITALIA A FORTE RISCHIO
Ma al di là degli scenari paventati dal colosso assicurativo londinese, già oggi, i dati meteo rendono impossibile sottovalutare gli eventi climatici: «Quelli estremi – rivela Ermete Realacci, presidente della Commissione Ambiente della Camera dei deputati – sono aumentati del 900% dagli anni ’60». Una crescita che si registra ovunque, ma l’Italia è purtroppo in prima fila in questa classifica. È lo stesso Consiglio Nazionale delle Ricerche a inserire il nostro Paese tra gli hot spot, i punti caldi del Pianeta, che si riscaldano più velocemente di altri.
Dopo Amazzonia, Sahel, Africa occidentale, Indonesia e Asia centro-orientale, c’è infatti il Mediterraneo. In un altro rapporto, l’italiana Unipol, citando dati 2014 della Organizzazione meteorologica mondiale, fa notare che, dagli anni ’70 ad oggi, i disastri naturali in Europa sono passati da 60 a 577 e le vittime da 1.645 a oltre 138mila (+8.000%). In termini economici è già un salasso: tra allagamenti, tempeste, siccità, caldo record e incendi l’Europa ha perso 130 miliardi di dollari. Quarant’anni prima erano meno di 17 miliardi.
Per l’Italia, rivela sempre Unipol, un aumento della temperatura media di 1,2 gradi °C porterebbe a danni economici nell’ordine dello 0,2% Pil (circa quattro miliardi di euro). Ma, considerando anche gli aspetti sociali degli impatti (deterioramento della salute, incremento della mortalità, spostamenti forzati delle popolazioni colpite), le perdite, calcolate come minore possibilità di consumo delle famiglie, potrebbero raggiungere i 20-30 miliardi.



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