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Oggi Sidney Lumet avrebbe compiuto 90 anni, e il sottoscritto insieme alla compagnia di bloggers amici (vedi lista a fine recensione) gli rendono il doveroso omaggio. Mezzo secolo di carriera trascorso regalandoci film importanti e impegnati: cinema sempre di qualità, tra suspance e impegno civile, con uno sguardo cinico e smaliziato verso un mondo che gli piaceva sempre di meno... Non amava le ingiustizie e le differenze (e per questo girò La parola ai giurati), nè la società corrotta e benpensante (messa alla berlina in Serpico), in ogni sua opera si avvertiva la personale insofferenza verso gli inganni perpetrati dai potenti: in questo, Quinto Potere ne è l'emblema, il film forse più significativo e personale tra tutti quelli diretti. Eccone un breve sunto.
QUINTO POTERE
(Network)
di Sidney Lumet (Usa, 1976)
con Peter Finch, Faye Dunaway, William Holden, Robert Duvall, Beatrice Straight
durata: 121 min.
Howard Beale, noto mezzobusto televisivo, viene licenziato in tronco dall'emittente per la quale lavora da undici anni. Motivo: il suo programma settimanale non ha più lo stesso gradimento dei tempi d'oro. Ha una settimana di tempo per fare i bagagli e salutare i telespettatori, possibilmente senza lacrime. L'uomo, come si può immaginare, non la prende benissimo... ma anzichè fare causa ai suoi superiori, decide di uscire di scena con un colpo di teatro: la sera stessa del licenziamento annuncia che nell'ultimo giorno di trasmissione si suiciderà in diretta tv. Apriti cielo: scoppia lo scandalo, Beale viene platealmente invitato a smentire il suo proclama ma lui, che ormai non ha più niente da perdere, non ci pensa nemmeno. Anzi: approfitta dei giorni che gli restano per togliersi tutti i sassolini dalle scarpe di fronte a milioni di telespettatori. La situazione è tesissima, ma a questo punto accade l'impensabile: i rozzi strali via etere di Beale fanno presa sul pubblico, che torna a seguirlo in massa. La scaltra e arrivista Diana Christensen, giovane responsabile dei palinsesti, fiuta subito l'affare: sarà lei a convincere la rete ad affidare a Beale un nuovo programma nel prime-time, in cui potrà dire tutto quello che vuole, senza filtri e senza censure. Beale diventa così un invasato tele-predicatore dell'etere capace di coinvolgere e condizionare la platea televisiva, compreso il presidente della rete che finisce per appassionarsi alle sue invettive. Ma come è facile immaginare, l'idillio dura poco: il pubblico televisivo digerisce tutto molto rapidamente e gli indici di ascolto tornano ad appiattirsi. Solo che stavolta far fuori Beale non sarà semplice perchè il boss del network, suo fan dichiarato, non ha alcuna intenzione di rimuoverlo. Ormai a Diana Christensen non resta che un solo modo per toglierlo di mezzo...
E' incredibile quanto Quinto Potere (traduzione tutta italiana, il cui intento era l'evidente prosecuzione ideologica con il capolavoro di Orson Welles) sia ancora oggi un film così clamorosamente attuale. Lumet lo diresse nel 1976 basandosi su una sceneggiatura di Paddy Chayefsky, celebre scrittore di teatro che volutamente impose alla pellicola un tono sempre costantemente sopra le righe, dichiaratamente inverosimile (almeno così sembrava), allo scopo di 'svegliare' il pubblico anestetizzato dalla televisione con una terapia-choc capace di restare impressa nella mente degli spettatori. A quasi quarant'anni di distanza dobbiamo però dire che il tentativo è, purtroppo, miseramente fallito: anche se il film è in realtà estremamente lucido e perfino profetico (per l'epoca) nel denunciare i rischi comportanti da una cinica programmazione commerciale, volta solo al risultato economico prescindendo dalla qualità, non si può certo dire che la televisione sia migliorata nel corso degli ultimi decenni: e bisogna ammettere, inorridendo, che quanto raccontato da Lumet nel suo film allo stato attuale sarebbe tutt'altro che campato per aria.
Aldilà del finale 'ad effetto' e necessariamente provocatorio, infatti, tutto ciò che Quinto Potere denuncia oggi è purtroppo diventata la prassi: il tentativo da parte dei grandi media di imporre una forma di comunicazione-spettacolo, dove le notizie non vengono annunciate in maniera trasparente e obiettiva bensì 'sparate' nell'etere in base all'impatto mediatico che queste hanno sul pubblico, possiamo dire che è perfettamente riuscito: ne sono la prova le continue cronache giudiziarie, propinateci ai limiti della morbosità, sui violenti fatti di cronaca di questi giorni. L'assioma è conclamato: sei hai poche notizie da dare, devi fare in modo che queste siano più appetibili possibile, anche a costo di distorcere la verità. Ma sarebbe comunque sbagliato o quantomeno limitativo classificare Quinto Potere come un film esclusivamente 'contro' il mezzo televisivo: in realtà è un amaro pamphlet su una società dominata dall'apparenza, dove ormai non c'è più alcuna distinzione tra futilità e dramma, e dove il pubblico è ormai 'anestetizzato' a tutto: non ci sorprendiamo più, non ci indignamo nè gioiamo più per nulla, il tutto in una continua centrifuga di informazioni dalle quali non riusciamo più a distinguere il buono dal marcio, il grano dalla fuffa.
L'impostazione teatrale del film è palesata nelle interpretazioni degli attori, tutti molto 'impostati' e un po' troppo rigidi nella loro recitazione: Peter Finch grazie alla sua performance si guadagnò l'oscar come miglior attore ma non potè ritirarlo perchè la morte lo colse poco dopo la fine delle riprese. Altre due preziose statuette se le aggiudicarono Faye Dunaway (nel ruolo della perfida Diana Christensen) e Beatrice Straight (che interpretava la moglie tradita del grande William Holden, nel film amante della Christensen: solo nomination per lui). Per la Straight, che in tutta la pellicola compare per appena cinque minuti, si trattò dell'oscar più 'breve' della storia, record tuttora insuperato.
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IL BOLLALMANACCO DI CINEMA
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NON C'E' PARAGONE
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