Sullo sfondo della Torino del 1980, periodo di lotte sindacali tra i dirigenti della FIAT, che annunciarono quasi 15.000 licenziamenti, e la classe operaia, che organizzò uno sciopero contro quei licenziamenti che avrebbero ridotto sul lastrico migliaia di famiglie, Signorina Effe, film di Wilma Labate, uscito nel 2007 e ispirato al documentario Signorina Fiat, racconta la storia d’amore tra Emma (Valeria Solarino) e Sergio (Filippo Timi), entrambi impiegati nella fabbrica torinese, lei addetta ai primi computer, lui metalmeccanico idealista e orgoglioso, che si incontrano e si amano, nei 35 giorni di proteste che sarebbero culminati nella famosa Marcia dei quarantamila colletti bianchi.
Emma, laureanda in matematica e fidanzata con un ingegnere vedovo della Fiat di nome Silvio (“Un nome che nel 1980 si poteva ancora portare con disinvoltura”, come dice l’attore che lo interpreta, Fabrizio Gifuni, in un’intervista nel backstage del film), proviene da una famiglia meridionale e può realizzare i sogni e i sacrifici di una vita, cancellando le fatiche dell’emigrazione e della dura vita in fabbrica del padre (Giorgio Colangeli), anch’esso instancabile operaio in Fiat per trent’anni. All’inizio del film la ragazza si imbatte in Sergio, operaio umbro trapiantato a Torino, in prima fila nella lotta ai licenziamenti e ai crumiri, i lavoratori che si rifiutano di scioperare. Lui, per proteggerla dalla folla degli operai in protesta (scelti dalla regista tra i veri lavoratori della Fiat), le sporca la camicetta, e da allora, da quel gesto, ha inizio la “contaminazione” di Emma, da quel momento anche il suo pensiero si “macchia” degli ideali professati da Sergio.
Emma lentamente si innamora di quest’uomo apparentemente brusco, semplice e di poche parole, ma profondamente sensibile, e lascia l’ingegnere. La storia tra i due è da subito fortemente ostacolata dalla famiglia di lei; come dice Magda, la sorella di Emma (Sabrina Impacciatore) ad Antonio (Fausto Paravidino), collega ed amico di Sergio: “Emma non è come noi, lei deve volare alto”. Nel film si percepisce il senso di superiorità della gente del posto sulle persone del sud. La famiglia di Emma costituisce il fulcro di tutta la narrazione: loro, la loro voglia di riscatto, l’ansia che la figlia dimostri di avercela fatta nella vita…
La fine delle proteste, che si concludono con un accordo favorevole tra i sindacati e la casa torinese, segna anche la fine della storia tra i due giovani, voluta da Sergio nel tentativo di “salvare” il futuro che altri avevano scelto (quasi prescritto) per Emma. I due si ritroveranno quasi 30 anni dopo, entrambi sconfitti dalla vita, rassegnati a ricoprire ruoli assai diversi rispetto a quelli che avrebbero voluto, lontanissimi dalla realizzazione di quei sogni per cui tanto avevano lottato.
Torino e la Fiat sono un binomio inscindibile, infatti il film è stato girato in un reparto della fabbrica torinese oggi dismesso, e alterna le vicende dei personaggi ad autentici e significativi filmati d’epoca, fornendo un’accurata ricostruzione degli anni di piombo, facendoci respirare l’atmosfera che gli operari vivevano, e forse vivono ancora oggi, nelle fabbriche: l’odore di olio, gli ingranaggi non ancora montati dai macchinari moderni, la tensione costante tra lo stress di una vita di sacrifici e la paura di perdere il lavoro (raffigurata egregiamente da Antonio, il collega di Sergio che si droga per sfuggire alla triste routine e che trova un’àncora di salvezza nella storia con Magda) vengono rappresentati in maniera molto viva e realistica dalla regista, e ci fanno rivivere le emozioni di un periodo vicino a noi (Fausto Paravidino dice: “E’ strano definirlo film in costume”), le emozioni di coloro che quel periodo di Storia lo hanno scritto e vissuto sulla propria pelle.
Valeria Solarino regala una splendida intensità al personaggio di Emma, una ragazza all’inizio misurata, rispettosa della famiglia, ma che arriva a ricredersi sulle sue prospettive e su un futuro che sembrava già scritto per lei, ma che in realtà era stato plasmato da coloro che vedevano in lei solo una tela bianca da dipingere con colori arbitrari.
L’interpretazione che più ci ha colpito in questo film è stata però quella di Filippo Timi, attore umbro libero in questo film di non reprimere il suo accento; la passione di Sergio, il suo idealismo, il suo non volersi piegare ad una realtà che lo vorrebbe omologato, incasellato in un ruolo definito da altri, chiuso in una casta perenne (anche lui è figlio di un operaio della Fiat), traspaiono dai suoi occhi. Inadeguato in ogni situazione (il pranzo con i familiari di Emma, la cena in un ristorante di lusso, l’esame della ragazza in università), Sergio è a proprio agio solo quando si trova tra i lavoratori in sciopero, ma allo stesso tempo nella medesima situazione Emma è a disagio, sembra quasi una figura troppo celestiale in mezzo agli operai. Le vicende dei due protagonisti si snodano lente in una Torino autunnale che fa da cornice a questa vicenda, una città che sembra immobile, passiva, ma che in realtà diventa teatro di stravolgimenti ed entra a far parte della Storia con la Marcia dei quarantamila.
di Ilaria Pocaforza All rights reserved
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