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Silent Souls di Fedorchenko: anime silenziose nell'oceano della memoria

Creato il 01 giugno 2012 da Saramarmifero

Silent Souls di Fedorchenko: anime silenziose nell'oceano della memoriaFedele alla promessa contenuta nel suo titolo, Silent Souls, ultimo film di Aleksei Fedorchenko, racconta, con uno script scheletrico e pochi, lunghissimi piani sequenza, l'assai taciturno viaggio del novello vedovo Miron che, con l'amico Aist al proprio fianco e il corpo della defunta moglie Tanja nel bagagliaio, decide di attraversare i gelidi paesaggi russi per raggiungere le sponde di un fiume, eletto altare per la cremazione dell'amata. Discendenti dei Merja, antico popolo ungro-finnico sull'orlo dell'oblio, Miron e Aist seguono un rituale meticoloso per accompagnare la cara estinta verso l'ultima meta: detergono la pelle della morta, preparano il pube alle fiamme annodandone i peli con nastri colorati, secondo la medesima usanza praticata per addobbare l'inguine delle spose, erigono una piccola pira sulla riva, versano litri di vodka sul cadavere, gli danno fuoco, e infine spargono le ceneri nell'acqua dolce. Silent Souls di Fedorchenko: anime silenziose nell'oceano della memoriaPicchi emotivi, rigorosamente muti, di questo piccolo gioiello in celluloide sono la scena della preparazione del corpo nudo e senza vita di Tanja, con la suggestiva composizione dell'inquadratura che sembra rievocare il Cristo morto del Mantegna (visto a testa in giù), e quella del falò funebre, illuminato nel contrasto tra il rosso del fuoco e l'azzurro plumbeo dell'acqua dallo sguardo di Mikhail Krichman, già sensibile direttore della fotografia nei film di Andrei ZvyagintsevDifficile farsi l'orecchio di fronte all'assordante silenzio di certo cinema slavo e nordico (senza dimenticare la proverbiale anoressia oratoria delle pellicole orientali), almeno per un pubblico “occidentale” abituato a reagire con imbarazzo, se non con orrore, dinnanzi ai tempi “morti”, così definiti anche quando molto più vitali del boato di una sciocchezza pronunciata ad alta voce. Si confonde il silenzio con vuoto e banalità, e ci si dà un gran da fare per occultarne i segni sotto una valanga di chiacchiericci inconsistenti. Ma al giovane regista russo non servono discorsi arzigogolati e una retorica affilata per riflettere sui grandi temi dell'umanità: vita, morte, amore. Panta rei, tutto scorre, direbbe Eraclito, con sintesi altrettanto efficace. Ed è il battito regolare delle onde che si infrangono sulla spiaggia a dare il ritmo alla storia, che alla linearità cronologica tipica di un on the road cuce l'andirivieni ciclico del flusso di ricordi. Silent Souls di Fedorchenko: anime silenziose nell'oceano della memoriaLa trama imbastita da Fedorchenko è tappezzata di morti e rinascite, che si riflettono le une nelle altre come davanti ad una superficie d'acqua: la morte dell'amica si specchia in quella della madre, la macchina da scrivere seppellita nel ghiaccio dal padre riemerge nelle mani di Aist figlio, divenuto anche lui scrittore, il bagno di Tanja nella vodka, prima come gioco sessuale e poi come strumento di cremazione. Simbolo del rifiuto della storia nel continuo rinnovarsi della tradizione, nonché custode di mortali storie d'amore (è al fiume che Miron consegna i resti carbonizzati della moglie e la sua fede nuziale), l'acqua è l'elemento cardinedella poetica di Fedorchanko, come di tanti altri cineasti che l'hanno preceduto. Sotto forma di alieni oceani pensanti, di immobili laghi, di pioggia o di neve battente, l'acqua è l'archetipo in cui Andrei Tarkovsky fonde gli ingredienti della sua intera filmografia, da Solaris fino a Lo specchio. Secondo me il cielo è vuoto e non ci sono che i suoi riflessi sulla terra, nel fiume, nelle pozzanghere”, diceva il maestro sovietico. Stessa fascinazione presso gli schermi di alcuni cineasti slavi. Memorabile la nuotata corale nel finale di Underground, con cui Kusturica volle omaggiare un altro devoto dell'elemento marino: Jean Vigo e il suo AtalanteAccanto all'acqua, in Silent Souls arde l'elemento del fuoco. Il fuoco come passione tra un uomo e una donna, calore bruciante della vodka, pira che purifica, carbonizzandola, la salma di Tanja. Fuochi spenti i ricordi di vita coniugale che Miron rivela ad Aist, non a caso battezzati “fumo”, quasi che attraverso la parola i vivi cercassero una nuova catarsi incendiaria per gettarsi il lutto alle spalle. Correlato stesso del nesso vita-morte è il volto femminile: “i corpi delle donne sono come i fiumi, che possono portare via il dolore, peccato che non ci si possa annegare dentro”. Sono loro i motori che spingono i personaggi maschili a muoversi. 

Silent Souls di Fedorchenko: anime silenziose nell'oceano della memoria

The first on the moon di Fedorchenko

In conclusione, si sarebbe tentati di leggere l'intero film come l'inno nostalgico di un mondo che non esiste più, all'insegna di una spiritualità pre-cristiana e materialista incarnata dalle tradizioni dei Merja. Ma il discorso di Fedorchenko è ben più complesso e stimolante. Tutta la riflessione sul mito scaturita dal riferimento ai Merja, infatti, si costruisce su un falso storico, trattandosi di una popolazione estintasi in tempi lontanissimi. E di falsi storici, il regista russo è un esperto: il suo primo sbarco in Italia è avvenuto nei pressi della laguna veneziana, dove al Festival del cinema nel 2005 presentò il suo First on the moon, mockumentary sul presunto allunaggio di un'equipe di astronauti sovietici negli anni '30. Abbandonate le atmosfere fantascientifiche, qui abbiamo un protagonista intento a predicare il credo similbuddista della reincarnazione e dell'eterno ritorno, salvo sul finale confessare l'impossibilità di trattenere qualcosa che è destinato a sparire. Come avviene per la cultura Merja, resuscitata grazie alla formula magica della fabbrica dei sogni, morta e sepolta da un bel pezzo nella realtà. Come avviene per Miron, che non crede per davvero, una volta diventato anche lui cenere e restituito all'acqua, di ritrovare l'amata Tanjuska. Ma si aggrappa a quell'illusione perché, in fondo, è nel fumoso oceano della memoria privata, disseminata dei relitti di passati affetti, che ci è permesso vincere l'estinzione collettiva. “L'amore reciproco”, dice Aist, è la sola cosa tra tutte a non avere fine.

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