Nella pubblicazione edita da The Freak lo scorso maggio, che raccoglie poesie e racconti di alcuni partecipanti al concorso letterario La mia bussola ha perso il Nord, figura il breve componimento in poesia di Leonardo Gallato, giovane studente siciliano con la passione per la musica e la scrittura che ha, nel gennaio di quest’anno, pubblicato una sua personale raccolta di poesia, intitolata Silenzi.
Nello sfogliare il piccolo libretto giallo in cui i Silenzi sono raccolti, ci è sorto il desiderio di incontrare l’autore: incontrarlo, però, non per sapere come un ragazzo come lui sia riuscito a pubblicare una sua raccolta di poesia, in questi tempi così difficili, in cui è così raro (ma, lo diciamo, neppure troppo) trovare chi scriva e pubblichi qualcosa di proprio. No, lo incontriamo per cercare di capire da dove provenga questa sua indole, da dove sorgano i colori e alcune delle immagini che si trovano nei Silenzi, per leggere così, con lui, qualcosa in più della sua poesia, con le sue parole.
Leonardo, prima di parlare della tua pubblicazione, vorremmo sapere come è nata in te la passione per la poesia, quella per la musica, negli anni della tua formazione.
Tra le due, la passione per la musica è chiaramente precedente a quella per la poesia, non vedo come potrebbe essere il contrario. Una tra le immagini che più ricordo di quand’ero piccolo, nell’infanzia trascorsa a Rosolini, in provincia di Siracusa, è quella della mia chitarra giocattolo, con la quale giocavo per ore interminabili. Poi, a dieci anni, i miei genitori mi regalarono la prima vera chitarra, e con questa cominciai in quegli anni a studiare: poco dopo, con qualche amico avevamo già creato una rock band. Poi, negli anni del liceo, arrivarono De André, i Radiohead. Questi, i punti essenziali di un percorso nella musica che, credo, non sia dissimile a quello di tanti altri ragazzi che proprio a quell’età suonano uno strumento del genere e amano questo tipo di musica. La poesia viene dopo, e non direttamente. Vuoi per gli studi classici, vuoi per pura casualità, mi avvicinai alla lettura con Pirandello, con Uno, nessuno e centomila, e con Siddharta di Hermann Hesse, che mi fecero vedere le cose da un altro punto di vista. La poesia giunge davvero solo a diciott’anni, con gli Ossi di seppia di Montale, con Ungaretti, con Ariosto.
Fin qui, sono gli anni trascorsi in Sicilia, a Rosolini; poi, con l’Università, sei giunto a Roma. Come hai vissuto questo salto, che sicuramente ti avrà cambiato?
La scelta di frequentare il corso di Lettere Classiche dell’Università La Sapienza di Roma nasce, ora lo vedo bene, dal retroterra culturale classico che dalle mie parti si percepisce in ogni dove. Fu, nel 2009, la messinscena di Medea di Euripide, al teatro greco di Siracusa, a chiarire a me come la passione per la classicità stava divenendo qualcosa di veramente importante, sì che di lì a poco determinò la scelta dell’università. A Roma, con questi studi, è chiaro che ho visto la poesia, per così dire, dall’interno: non solo il rapporto tra le letterature moderne e occidentali con la classicità, non solo la lettura ragionata e studiata di moltissimi testi, ma anche la possibilità di fissare due punti fermi, Dante e la lirica greca arcaica. Poi, da me, con gli strumenti via via più affinati che gli studî mi permettevano, è stato il tempo della lettura del poeta siciliano Ignazio Buttitta, di Bukowski, Borges e Guido Gozzano, nonché di Satura di Montale.
Dunque, fin qui, la classicità, Dante e i poeti moderni a te più cari costituiscono le linee portanti della tua formazione?
A ciò, in realtà, va aggiunto assolutamente l’Oriente. Mi spiego meglio: come Giuseppe Bonaviri fa emergere nel suo bellissimo Incominciamento, per Oriente intendo quella orientalità latente che talvolta spunta e promana dalle persone. Posso circostanziare meglio: l’orientalità l’ho da sempre avuta in casa, poiché mio padre ha studiato e insegnato arti marziali e in casa mia, pur essendoci pochi libri come in ogni casa siciliana che si rispetti, c’erano la Bibbia, alcuni classici indiani, la raccolta degli antichi Veda. L’orientalità poi è anche mediterranea: Ībn Hamdjs, poeta arabo nato e vissuto in Sicilia e costretto poi ad abbandonarla quando giunsero i conquistatori Normanni, o Hikmet, poeta turco della prima metà Novecento, come pure Mahmud Darwish, palestinese esule dalla propria terra dopo la creazione dello stato di Israele, sono uomini lontani nel tempo, eppure vicinissimi, in una dimensione che trascende il tempo, e che guarda all’intimo, ai sentimenti, che invece sono sempre gli stessi, immutati.
E per la musica, gli anni romani cosa hanno significato?
Soprattutto l’avvicinamento alla musica classica: la quarta e sesta sinfonia di Tchaikovsky, la quarta di Brahms, ma poi tutta l’opera sinfonica di Beethoven, sono forse le cose a me più care. A questi la mia passione per la chitarra non può che farmi accostare Francisco Tárrega, chitarrista e compositore spagnolo tra Otto e Novecento. Tra la musica più pienamente del Novecento, invece, l’amato Jeff Buckley e la cantautrice siciliana Rosa Balistreri hanno per me una importanza assoluta.
Bene, Leonardo. Questo quadro era necessario per comprendere, diciamo, quelle coordinati generali entro le quali calare la tua pubblicazione di poesia, Silenzi. Soffermiamoci proprio su questi, adesso. Innanzi tutto, perché sono scritti alcuni in lingua italiana, altri in siciliano?
Spesso un sentimento, un’impressione, un suono, mi stanno dentro per mesi e mesi, e trovano, poi, ad un tratto, modo di sgorgare immediato, nel senso che non è, né può essere, mediato da nulla: se le parole trovano forma con la lingua che ho appreso con lo studio, che ho raffinato con la lettura, che uso normalmente, ossia con l’italiano, la poesia sarà proprio in italiano; se, invece, il posto le parole lo hanno trovato nella lingua materna, nella mia lingua più intima e ancestrale, nel siciliano, la poesia sarà in siciliano. Non è una pianificazione architettata, tra le due lingue, non è volontà di dare loro pari valore, non vi è, nell’alternanza delle due lingue, nessuna finalità, didattica o di protesta. È solo la prova di come, essendo due sistemi linguistici comunicanti, sì, ma assolutamente diversi, non possono essere filtrati o forzati, per cui prendono entrambi forma in me, e la loro diversa e ugualmente affascinante musicalità trova, per forza di cose, posto nella raccolta.
Come è organizzata la raccolta?
Silenzi si compone di una quarantina di componimenti di varia lunghezza, che ho voluto organizzare in quattro movimenti più un preludio e un finale. In una sinfonia i movimenti scandiscono la vasta materia tematica musicale, le dànno l’architettura formale entro cui essa trova giusto ed equo svolgimento: la varietà di temi e un loro farsi non pianificato negli anni ha dunque trovato nei movimenti, credo, un più ordinato modo di svolgersi.
Sembra dunque chiaro che, nei Silenzi, musica e poesia non possano scindersi. E allora, da cosa viene il titolo, Silenzi?
L’elemento musicale è connaturato ad ogni opera poetica, ad ogni poesia. Più in particolare, alcune delle poesie presenti nella raccolta non sono nate come poesie, ma come vere e proprie canzoni (Notturno, quasi alla fine del primo movimento, ne è un esempio). Vale però anche il contrario: parliamo di una realtà fonica che può essere sfruttata come reale fattore musicale, dunque da una poesia può sorgere, oltre che musicalità, vera e propria musica, se si compongono note che accompagnino la lettura. La scissione che oggi c’è tra le due non c’è sempre stata, poiché è noto come, nell’antichità, musica e poesia fossero univerbate, inscindibili, l’una nell’altra. E, dunque, cosa c’entra Silenzi con la musica, con la musicalità? Non voglio riferirmi alle pause, che pure hanno valore sostanziale entro la musica, ma più semplicemente al fatto che la poesia nasce dal silenzio e finisce col silenzio della lettura. Volevo creare questo gioco con la realtà musicale delle poesie.
In breve, Leonardo, di cosa trattano questi movimenti di Silenzi?
È vano tentare di spiegare il contenuto, essendo la materia poetica necessariamente evocativa, dunque difficile da riassumere: il terzo movimento è più una satura, di argomento misto e di tematica più impegnata, a differenza degli altri, che invece sono invasi dall’amore, dagli amori, dai ricordi. Nel quarto movimento sta Saffu, traduzione poetica in siciliano del frammento edd. 31 Lobel-Page proprio di Saffo, mentre al primo movimento sta un Trittico di tre epigrammi. Ma sono gli esempi che per primi mi sovvengono, non vogliono essere qualcosa di particolare rispetto al resto.
Leonardo, perché si dovrebbe leggere questa raccolta?
Non si dovrebbe leggere questa raccolta, come non si dovrebbe leggere o ascoltare o osservare nulla per un perché. Si è spinti a far qualcosa, o almeno così dovrebbe essere, da un trasporto personale, da un esser portati quasi inconsapevolmente verso qualcosa. Ne è un esempio l’immagine che sta in copertina: è una tela dal titolo La mie parole liquide, di Federica Sessa. Non le ho chiesto di eseguire questo mio ritratto, né esso era pensato per figurare sulla copertina. Federica lo ha dipinto, sono stato giorni e giorni ad osservarlo, vedendo come esso davvero scavava in me molto più di mille parole, molto più di quanto io stesso immaginassi. Naturalmente è venuto fuori dalle sue mani, naturalmente non poteva non stare sulla copertina del libro. Senza un perché, o solo perché così doveva essere. Leggerla, questa raccolta, non si deve. Se lo si fa, è perché ha inconsapevolmente suscitato il desiderio di esser letta. Se, dopo averla letta, abbia parlato all’intimo di qualcuno, con trasporto, beh, questa sarà la cosa che più mi farà piacere, quella che davvero più conta.
Leonardo Gallato, da qualche mese, sta pubblicizzando la sua raccolta di poesie in alcune città italiane: Silenzi…in musica (questo il titolo dei varî spettacoli) è insieme lettura e ascolto di alcuni dei testi poetici presenti nella raccolta, oltre che di brani cantautorali che Leonardo interpreta già da tempo con la sua chitarra, spesso accompagnato dal suono dei più svariati strumenti a percussione del bravissimo Daniele di Pentima. I prossimi concerti si terranno a Roma, presso la Libreria Koob, l’11 Luglio, nonché a Catania, al Read and Drink, il 24 Luglio. Partecipare ad una di queste serate, ci permettiamo sommessamente di dire, vale davvero la pena, come anche acquistare la raccolta, in tutte le grandi catene editoriali e online.
a cura di Valerio Tripoli