Silenzi invernali e splendori estivi

Da Carlo Deffenu
Questo breve racconto mi è stato commissionato per un librone fotografico sulle città di mare del Nord Sardegna. All'inizio non sapevo davvero cosa inventarmi per parlare di Alghero, poi, ho provato a immaginare cosa succederebbe se partissi lontano - Londra? Parigi? Roma? - e ritornassi dopo anni nella città che mi accoglie tra le sue braccia e i suoi vicoli da ben 13 anni. In un'ora ho scritto queste poche righe che si muovono tra un reportage intimo e un volo sulle mura e i tetti del ricordo, La nostalgia di quello che non c'è più o c'è solo dentro la memoria. Passi, squarci, attimi, sorrisi... un preludio - o un epilogo - di un qualcosa che si muove da tempo dentro di me.Buona lettura.
SILENZI INVERNALI E SPLENDORI ESTIVI
Ritornare ad Alghero è un po’ come rinascere per chi ci ha vissuto tanti anni. Camminare per le strade del centro storico, con le placche di ceramica che mi ricordano i nomi catalani delle vie, mi aiuta a tracciare una mappa della memoria che si arricchisce a ogni passo di odori e sensazioni. Tutto è rimasto sepolto dentro di me e ora, naufrago senza bussola, osservo risalire pezzi di vita che credevo perduti per sempre. Annuso l’odore delle mura sfarinate dalle carezze del tempo e cerco di non farmi intimorire dalla pressione dei ciottoli contro la suola delle scarpe. Le case, assiepate le une alle altre come comari pettegole, mi accompagnano nel mio pellegrinare e mi inducono, con un sussurro di persiane, a fermarmi davanti alla chiesa di San Francesco. Ricordo il chiostro con i suoi archi e le sue sedie in fila, e ricordo gli attori e la musica che ho ascoltato con la testa leggera, una mano sulla spalla di un amico, catturati da un sogno che profumava d’estate e di belle parole. E io mi ci perdo ancora nell’evocazione di quei fantasmi e quasi mi inchino davanti al saio di un frate che mi passa accanto e mi sorride. Il suo volto è sconosciuto e nella linea del suo naso riconosco la bellezza mediterranea di un pescatore che ho incontrato in Marocco. Strani collegamenti. Una serie infinita di connessioni che mi portano altrove per ricondurmi sempre qui. Inseguo per un po’ il frate e dopo qualche svolta lo lascio andare per la sua strada: un nuovo quadro si è aperto davanti ai miei occhi incantati. La torre di Sulis, il mare in tempesta, il richiamo dei gabbiani. C’è vento e quel maestrale possente mi agita le pupille e le labbra. Ho voglia di parlare con qualcuno, di fermare uno dei tanti turisti soltanto per chiedergli da dove viene e offrirgli con quella scusa un caffè. Osservo dei ragazzi che suonano la chitarra a ridosso di un muro e dei vecchietti che parlano in circolo di qualcosa che mi sfugge. Mi incammino lungo le mura antiche, i Bastioni, e mi lascio graffiare dalla sabbia africana. I tramonti, qui, sono qualcosa di molto diverso da tutto quello che ho visto altrove. Il promontorio di Capo Caccia, acquattato sull’orizzonte come una bestia a caccia di prede, e le nuvole basse, che versano il rosso sangue della sera sul telo limpido del cielo, sono la rappresentazione fragile e violenta della bellezza di questa città. Una città di alghe e tramonti. Una città di pesca e corallo. Una città di silenzi invernali e di splendori estivi. Una città che puoi toccare con la punta delle dita e se ti distendi nudo su di lei la puoi abbracciare e quasi sentire il peso della sua storia contro il petto. Mi fermo davanti all’insegna di un ristorante e leggo: “Oggi spaghetti con bogamarì”. Quante volte ho gustato questa prelibatezza? E quante volte ho mangiato l’aragosta alla catalana? E il manjar blanc? E il pesce pescato dalle reti dei pescherecci che partono dal porto e rientrano alle prime ore del mattino? E quante volte ho aspettato l’alba nelle spiagge di Maria Pia, del Lazzaretto, delle Bombarde? Un cameriere mi osserva da dietro un vetro e mi sorride. Alghero, a novembre, rallenta il suo ritmo dopo la frenesia estiva e chi vuole godersi la bellezza di questi posti, con l’arrivo del freddo, trova pace e silenzio. C’è una stagione giusta per tutti. Per i giovani, per gli sposini, per le coppie in pensione, per le famiglie… chi visita Alghero viene stregato dal labirinto delle sue vie e un pezzo di cuore rimane imprigionato tra le sabbie e i coralli. Quanti stranieri hanno comprato casa qui? Con Ryanair le distanze si sono accorciate e i costi ridimensionati. Si parte da Londra per un week-end e si arriva in un attimo. Tutto è più semplice e il mondo si può infilare in una tasca. Ma questo non basta, e no… l’ho imparato sulla mia pelle che non è sufficiente pagare un biglietto pochi euro per capire un luogo dove non siamo mai stati. Quando si sbarca dall’aereo dobbiamo dimenticarci da dove arriviamo e chi siamo. Dobbiamo dimenticarci il nostro nome e le nostre abitudini; prendere un bel respiro, aprire gli occhi e lasciarci invadere dal nuovo “pianeta”. Saluto il cameriere e procedo con la mia immersione nei fondali smeraldini del ricordo. Arrivo al porto e vedo un’insegna che dice “Pescheria di San Telmo”. Un altro collegamento si accende nella mia testa: Buenos Aires e il quartiere degli artisti. Ho dormito in Calle Bolivar e ho mangiato in Calle Defensa. Ho guardato i tangheri danzare in Plaza Dorrego. Ho bevuto la cerveza ghiacciata a Natale e ho mangiato la carne argentina da una griglia immensa. Altri sorrisi, altri mondi che trovo anche qui, per le strade di questa città affacciata sul mare, con lo sguardo verso Gibilterra, verso l’oceano. Proseguo lungo la nuova passeggiata Barcellona che ha permesso alla città di allungarsi sul mare e di ampliare gli spazi per i turisti e gli algheresi. Ci sono le barche, i chioschi che vendono gelati e souvenir, ci sono i turisti che si spostano in bicicletta sulla pista ciclabile e i runners che corrono controvento.  E io mi lascio trasportate dai ricordi. Perché sono andato via? Ho inseguito un sogno impossibile? Ho cercato altrove un angolo che mi accogliesse con la stessa generosità? Mi siedo su una panchina di legno e con le braccia e gli occhi aperti attendo il tramonto: un bagno di sangue e poesia che si stempera nel silenzio rotto solo dal ronfare delle macchine e dal richiamo dei gabbiani che attendono voraci il ritorno dei pescherecci in cerchi sempre più stretti. Un turista tedesco si ferma con i pattini a rotelle vicino alla panchina dove mi sono seduto per ammirare lo spettacolo del cielo, e con un grande sorriso mi chiede: «Lei da dove viene?»Lo guardo, sorrido anche io, e prima di rispondere ripeto la stessa domanda dentro la mia testa.“Io da dove vengo?”«Da qui!» rispondo, ancora prima di capire davvero cosa è giusto rispondere. Il turista tedesco mi si siede accanto sulla panchina di legno e stringendomi la mano mi dice il suo nome e la sua città d’origine. “Da qui”, penso ancora, confuso e sorpreso dalla semplicità di quella risposta, mentre lui si slaccia il casco e libera i lunghi capelli biondi nella luce dorata del tramonto. Da qui.

Un grazie speciale a Giovanni Gelsomino... un uomo generoso.

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