Magazine Diario personale

Silenzio

Creato il 10 marzo 2012 da Razionalme
Silenzio.
“Prova ora!” – incita Ivy sottovoce.
Un sibilo sottile e acuto taglia a metà il buio di quella notte umida. Una freccia scoccata dall’appartamento del sottosegretario del Sindaco si fa spazio in quella tetra densa nebbia, andandosi a conficcare sulla parete dell’edificio di fronte. Un po’ più giù, un po’ a sinistra, a pochi centimetri dalla finestra illuminata lievemente.
“Stupido idiota! Avresti potuto colpire il vetro! Scansati, il resto lo faccio io, tu sei un incompetente maldestro!” – incalza Ivy impugnando mascolinamente il fucile.
Gomiti in alto, testa fissa leggermente piegata sul calcio del fucile, occhio sinistro puntato nel mirino, Ivy indirizza la freccia verso la finestra giusta. Il passamontagna la rende claustrofobica, distraendola. Aspetta qualche secondo, inspira gonfiando il diaframma per non perdere la posizione guadagnata e, solo dopo avere raggiunto la concentrazione, si decide a sparare.
Questa volta il colpo si indirizza in avanti esattamente sul davanzale della finestra al livello del balcone su cui si trovano i due.
Gilroy intanto lascia andare il filo sottile ed invisibile che legava la prima freccia ripromettendosi di andare a staccarla quella notte stessa.
“Dobbiamo sbarrare la portafinestra. Ivy, mi hai sentito? Dobbiamo trovare il modo per chiudere questa portafinestra o se ne accorgeranno”.
“Sì, stupido idiota, ti ho sentito! Ci penso io. Tu comincia ad andare”.
Gilroy affronta il vuoto con quella imbracatura solo dopo aver fissato una ventosa resistentissima al balcone di marmo e a quest’ultima il filo che l’avrebbe sostenuto.
L’attrezzo lo reggeva per la cintura, non doveva fare altro che raggiungere l’edificio opposto. Sarebbero bastati pochi minuti. Controlla un’ultima volta l’apparecchio che ha legato in vita e il gancio a sua volta annodato al filo quasi invisibile. L’ansia comincia a rigargli la fronte con un sudore gelido. Supera il parapetto e sente che l’elastico di quell’aggeggio infernale lo tira giù. In quel momento inveisce contro tutti i santi, silenziosamente, come è solito fare ogni volta che “lavora”; sente di starsi distraendo. Ciò che lo manda più in bestia è la voce, ora divenuta sì insistente, di sua moglie che gli ricorda quanto fosse un emerito incompetente.
“Oddio! Sono sul cornicione!!! Concentrazione, il mio lavoro, la mia vita!”
Riavutosi da quell’attimo Gilroy  intraprende la traversata continuando a bestemmiare sottovoce.
Ivy intanto deve aver operato con dovizia sulla portafinestra perché oramai sembra essere serrata.  Raccoglie gli ultimi attrezzi e li mette nel borsone nero in cui sono contenuti anche i preziosi documenti derubati quella notte, chiude la sacca col fucile al suo interno e se la lega alle spalle. E’ pronta a superare il parapetto per raggiungere il compagno dall’altra parte.
Nera come la pece, diviene ombra di se stessa per  riuscire a superare anch’ella l’attraversamento indenne, credendo che immaginandosi eterea avrebbe superato l’impasse con più facilità.
“Sono ombra, sono aria, sono pensiero, sono nebbia e vento insieme” continuava a ripetersi.
Quella era da sempre la parte che meno amava di tutta la faccenda, ma sapeva di doverlo fare, sapeva di dovere riuscire in quel suo stupido lavoro. Ancora poche ore e sarebbe potuta tornare a casa, riempire l’enorme vasca con gli oli al ginseng e patchouli ed immergervisi sollevata, calice di vino rosso e candele a conclusione di una rilassante atmosfera.
Ma il suo fondoschiena ossuto era ancora sul cornicione, infreddolito dal vento che cominciava a portar via la nebbia.
“Maledizione! La nebbia rendeva tutto più semplice! Ora dovrò sbrigarmi a saltare e mettermi al riparo”.
Detto questo Ivy si lascia andare nel vuoto. Occhi chiusi, battito accelerato, tutti i sensi ipersviluppati in pochi millisecondi. Deve raggiungere l’altro edificio prima che la Luna illumini la scena.
Comincia lentamente ad avanzare, pensando che sarebbe stata l’ultima volta. Non si sarebbe più lasciata fregare, non sarebbe più scesa a compromessi. Per cosa, poi? Solo pochi spiccioli.
Ma ecco un rumore sinistro, uno sfrigolio, come il verso di un uccellino ferito.
“Cosa diamine succede adesso?” pensa tra sé la donna sospesa.
La ventosa si muove sulla balconata di marmo a cui era fissata, va lentamente verso il basso, accingendosi a precipitare e con essa tutto il resto. Ivy compresa.
Il rumore si fa assordante, specialmente alle orecchie di chi è proteso ad attendere la fine.
La ventosa si ferma, il filo è troppo teso e quella, non avendo corda, smette di camminare lungo il marmo.
Ivy non si ferma a riflettere, con tutta la forza che ha nelle braccia si trascina lungo il filo cercando di raggiungere la meta. Mancano pochi centimetri ormai. Deve solo girarsi e stringere la mano di Gilroy, che intanto è entrato nella camera passando dalla finestra che prima aveva lasciato aperta.
Gilroy le stende il braccio sporgendosi più di quanto il suo equilibrio gli consentisse.
“Dammi la mano, tesoro, non fare la preziosa!” – sussurra Gilroy ammiccandole.
“Ti sembra il momento adatto per scherzare? Se solo riuscissi ad arrivare al davanzale! Non ci arrivo! Gil, aiutami, la rotella che mi tiene s’è bloccata e la ventosa lì in fondo sta per cedere… Muoviti, prendi qualcosa, un bastone, una scopa… Sbrigati!!!” – Ivy tentava di tenere un tono di voce basso, ma il panico non rende semplici gli accomodamenti della voce.
Ecco infatti che si accendono le luci di svariati appartamenti dell’edificio.
“In un caso o nell’altro, sono fottuta!” – constatò Ivy.
Gilroy arriva alla finestra portando il cavalletto in carbonio (leggerissimo) da appoggio della macchina fotografica di Ivy.
Fa per tenderglielo, quando un ultimo rumore come un botto segnala all’uomo che la ventosa si è staccata. Riesce appena in tempo ad urlare a Ivy di tenersi con le mani perché la rotella sarebbe scivolata giù e non l’avrebbe retta.
Il filo cede e rende Ivy un pendolo che va a sbattere contro il muro dell’edificio. La donna in panico non sa che fare, non può pensare, non riesce a sentire niente. Ha le mani in fiamme nonostante i guanti fin troppo spessi.
Era sempre stata una tipa audace. Fin da bambina, l’unica a sfidare i maschiacci del quartiere, l’unica a non temere il buio, l’unica a portare gli stivali Harley Davidson solo per lasciarne l’impronta sul sedere degli sventurati che volevano importunarla.
Divenuta tiratrice professionista, non ha mai smesso di interessarsi di armi e denaro. Quest’ultimo l’unica ragione per cui in quel preciso istante si trovava lì appesa come un salame a quell’inutile finestra, di quell’inutile palazzo, per un inutile lavoro.
Imprecando tenta di girarsi con il volto verso la parete porosa alla quale riesce solo a dar la schiena.
I palmi delle mani oramai divenuti insensibili, inspiegabilmente la tengono con stabilità.
Un pensiero le trafigge la mente come un lampo “E se anche la freccia cedesse?” non aveva intenzione di fare un volo di 22 piani, non in quel momento, non ora che nella sua vita c’era la ritrovata stabilità grazie a Nathan.
Ecco nel momento meno opportuno presentarsi davanti agli occhi vivide le immagini dell’incontro con quel giovane dai capelli arruffati, un po’ artista, un po’ poeta. Occhi plumbei e tristi, tra le labbra una sigaretta in bilico, andamento pesante di chi ha ancora una vita troppo lunga da vivere e non ha voglia di osservarla scorrere. E una Ivy vestita di gioia andava incontro all’affascinante giovane afflitto sperando di farlo rinascere a nuova luce. Successivamente riuscendoci, avrebbe saputo di essere divenuta la salvezza e unica ragione d’esistenza per Nathan.
“Maledetto sporco denaro! Giuro che questa è l’ultima volta!” – arrampicandosi al filo con le ultime forze, la giovane tende la mano a Gilroy, immaginando gli occhi del suo uomo ad attenderla.
Con uno strattone Gil la tira su per il davanzale, sono quasi petto a  petto.
Una forza invisibile spinge in avanti il corpo di lei, un ronzio segue il rumore al silenziatore del primo sparo e spinge all’indietro anche il corpo di Gilroy. I due giacciono sulla moquette della camera d’albergo ormai privi di vita.
“Buongiorno signor sottosegretario, signore”
“Sì, sì, muoviamoci, ho un appuntamento con mio figlio”
“Sì, signore. I due sono stati eliminati e la scena ripulita”
“Bene. C’è altro?”
“Sì, signore, riguarda suo figlio”
“…”
“Pare che la giovane tiratrice ingaggiata per incastrarla fosse la stessa donna che ha salvato Nathan dal suicidio, due mesi fa…”
“…”
“…ma c’è dell’altro, signore. La morte dei due è stata annunciata dai telegiornali come un suicidio passionale, così come avevamo concordato per la storia di copertura… Le identità sono state rese note, anche quella della giovane, naturalmente…”
“…”
La voce dall’interfono interrompe il silenzio.
“Signor sottosegretario c’è un poliziotto in linea. Dice che probabilmente il corpo del giovane trovato pochi minuti fa al pronto soccorso è di suo figlio… mi spiace, signore… sembra si sia buttato, signore…”

*Questo racconto ha partecipato al concorso "Scrittori per fingerbook" nella sezione noir
 

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