C’è una ragazza vestita da centrosocialista elegante, si vede che il suo è un trasandato studiato, ha un vistoso anello al naso e segue con l’iPhone incollato all’orecchio qualche indicazione perché mentre ascolta cerca qualcosa o qualcuno come una caccia al tesoro radioguidata, e probabilmente il tesoro è l’interlocutore con cui deve incontrarsi ma, data la calca, i due per il momento continuano a non vedersi. Sarà che a me l’anello al naso come i tori o certi personaggi bovini antropomorfi dei fumetti, per non parlare delle facce degli aborigeni nella collana de “I popoli della terra” con la quale da piccolo viaggiavo stando fermo in cameretta e che poi cresciuto di un po’ mi aveva fatto esaltare perché avevo scoperto che conteneva anche tutto un capitolo sui rastafariani della Giamaica, dicevo che quando vedo qualcuno con questo tipo di piercing mi dà l’impressione che davanti ci sia uno che tira una corda e quello dietro che arranca con il busto un po’ inclinato in avanti come se fosse davvero trainato. La ragazza con l’anello al naso sale così le scale di fianco a me, con la coda dell’occhio la vedo mentre con uno scatto esce prima dal sottopasso sul piazzale degli autobus. Poi mette via il telefono e accelera verso un’amica vestita uguale, colori malcombinati appositamente, feltro e sciarponi, treccine e cappelli fricchettoni, scarpe pelose da mercatino equo e solidale. L’amica è chiarissima di pelle ma è tutta rossa in viso, fa una smorfia così innaturale che le si piega la faccia a metà ad angolo retto, nemmeno Picasso riuscirebbe a tanto, e il tutto per non farsi vedere piangere, o perché ha pianto abbastanza. La ragazza con l’anello al naso le prende entrambe le maniche del parka e le tiene sollevate, come se quello fosse l’abbraccio più caloroso per lenire il dolore. D’altronde uno non si aspetta che quel tipo di persona sia espansiva, che si stringa alla sofferenza degli altri per assorbirne un po’ e spurgare i filtri intasati dalle difficoltà della vita, gli esami che non si superano, i genitori che litigano, i propri problemi di cuore. L’amica trema tutta nella faccia rossa che nel frattempo ha ricostruito nell’assetto in dotazione e sembra temporeggiare ma poi senza pensarci su dice una cosa che, a grandi linee, non proprio in queste parole, dice che le persone che si sono amate, quando si lasciano, non dovrebbero più innamorarsi di nessuno. E mentre lo dice guarda altrove rispetto a dove dovrebbe posare gli occhi, ovvero gli occhi della ragazza con l’anello al naso che le tiene con le mani le maniche del parka e, di conseguenza, quello che c’è dentro. E la ragazza con l’anello al naso si vede che prende fiato per parlare. Poco più in là, oltre il marciapiede, sulla strada, accosta un’automobile scura, un’Audi con delle ruote larghissime e, in analogia con il piercing per gli esseri umani, un appariscente addobbo luminoso di led sui fanali anteriori. Si sente fino a qui il boato dei bassi proveniente dall’impianto hi-fi, e per la arcinota teoria del subwoofer secondo la quale chi ascolta musica a palla in auto è quasi sempre musica di merda, il miscuglio di robaccia disco con il cantato brasileiro è agghiacciante. Si apre la portiera lato guidatore ed esce un ragazzo incredibilmente fine, con i capelli un po’ lunghi ma per il resto vestito a modo e tutt’altro che in linea con la macchina di sua proprietà. D’altronde uno non si aspetta che quel tipo di vettura abbia un conducente così distinto. Ma la musica, a quel punto, straborda dall’abitacolo e investe tutto. Ed è un peccato, perché la ragazza con l’anello al naso, che ha appena preso fiato per parlare, vedo che apre la bocca e dice qualcosa all’amica che ha ripreso a piangere, ma da qui con quel baccano non riesco a capire.
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