Tenetelo che cade...
BERLUSCONI avrebbe dovuto dar retta a Gertrude Stein. La scrittrice modernista statunitense usava giocare con le parole per dire molto più di quanto le stesse parole, in superficie, esprimevano. “Una rosa è una rosa è una rosa è una rosa”, scriveva. Ecco, avesse dato ascolto alla Stein, il Cavaliere avrebbe, probabilmente, salvato capra e cavoli. Perché – lo ha riconosciuto Luca Ricolfi nell’editoriale di sabato de La Stampa – sarebbe venuto da sé che, se voti per le amministrative, il tuo partito è dato in calo e tu stesso non brilli come un tempo di luce tua; se poi s’aggiunge che il tuo migliore alleato si sbraccia per nettare i tuoi errori piuttosto che usare lo sbianchetto per rimuoverli, allora Silvio non avrebbe che dovuto pontificare che “un sindaco è un sindaco è un sindaco è un sindaco”. Ed invece no. Ha deciso di giocarsi tutto. Di vincere tutto, amministrazioni e stima politica, o di perdere tutto. La seconda delle due.
IL PARTITO-NON PARTITO - E, ancora di più, ha perso il partito-non partito del Premier. Quell’entità nata ed affidata alle mammelle del capo. Ma che il capo stesso ha troppo badato ad ingozzare. Al punto da generarne una struttura ipertrofica ma solo in apparenza completa, anarcoide nei contenuti ma, cosa peggiore, anarcoide nell’organizzazione sui territori. Un partito, quello del Cavaliere, che ha sempre creduto di poter contare sull’intervento salvifico, sul ruolo del pater familiae, sulla dichiarazione finale col botto, sulla politica urlata. Nel momento in cui ha dovuto fare i conti con la politica pura, ovvero, quando attorno al Pdl è stato creato il vuoto, si è resa evidente l’assenza della dotazione politica di base. Un gesto eclatante può risolvere un’elezione e nell’anomalia Italia può veicolarti un’intera epoca ventennale, ma non crea il presupposto perché si radichi in coloro che lo compiono e nei suoi successori. La fisima dei giudici comunisti, il refrain della persecuzione, la paranoia indotta del diverso. Tutta roba che si neutralizza con il neutralizzarsi del suo propugnatore ed unico beneficiario.
L’EROSIONE - Nel Pdl nessuno l’ha capito. E pure nel caso in cui qualcuno l’avesse fatto, non ha arrestato la picchiata verso l’abisso. Già, perché le motivazioni della sconfitta di Berlusconi non sono da leggere soltanto nelle intemperanze contro l’avversario. Ma trovano epicentro nel logoramento materiale della fiducia del suo stesso bacino elettorale. Un’erosione inarrestabile, goccia d’acqua dopo goccia d’acqua. Che ha indebolito in premier ed azzerato quella formazione di lacché posti al suo seguito.
INDISCIPLINA - Ed in questi ballottaggi, non è un caso, ha vinto l’indisciplina. Del popolo di centrodestra, ancora una volta dimostratosio allergico al ritorno ravvicinato alle urne (strategia che, probabilmente, sarà funzionale al Governo sulla questione referendaria ma che, intanto, si è riverberata negativamente nell’immediato); del terzo polo, che il Cavaliere dava come naturale terza gamba del centrodestra e che, al contrario ha spernacchiato il Pdl; degli elettori di centrosinistra, specie i giovani di De Magistris e di Pisapia, che sono della stessa pasta di quelli di Nichi Vendola e che son sordi alle minacce di estremismo ed anzi, ne sono attratti. Ed è così che il Premier si è trovato in un harakiri casuale. Lui, miccia vagante degli anni Novanta, elemento impazzito ed a tratti antipolitico, come Di Pietro (che, non a caso corteggiò un bel po’) nei toni e nei modi, ma agli antipodi sui contenuti, è caduto sull’imprevedibilità, sul non te l’aspettavi, sull’insondabile.
MILANO E NAPOLI - S’è imposto il contrappasso dei numeri, l’infantile gioco dello “specchio riflesso”. E così, anche dove i “suoi” guadagnavano quanto auspicato, gli “altri” riuscivano a fare di più. Fino a bissare e triplicare i consensi suppletivi. Lo dicono le cifre di Milano, dove, mentre la Letizia Moratti metteva in cascina 24 mila voti in più rispetto al primo turno, il Giuliano Pisapia ne rubava 50 mila alla sua avversaria. Lo dicono addirittura impietosamente le cifre di Napoli. Gianni Lettieri, colui per il quale il premier ha messo la faccia nell’ultimo giorno di campagna elettorale, ha addirittura sgonfiato il suo portato elettorale di quasi 40 mila voti nel mentre Luigi De Magistris funzionava da Folletto, incamerando preferenze addirittura superiori alla somma di quelle ottenute, quindici giorni fa, da lui stesso, Pasquino e Morcone messe insieme.
CAPITANATA - Spostando il baricentro laddove la parlantina berlusconica ha meno presa, la Capitanata, ai ballottaggi, ha categoricamente opposto un muro all’avanzata del Popolo delle Libertà. Tre dei quattro comuni impegnati con la scadenza amministrativa hanno cambiato bandiera. Orta Nova, in quanto Peppino Moscarella, pidiellino con qualche tentazione futurista (ed oggi la domanda sarebbe spontanea: ma se fosse stato candidato con Fli, avrebbe vinto?) non è riuscito neppure a guadagnarsi l’accesso a questo dentro o fuori. Dopo 15 anni, nella città dei cinque reali siti la tendenza s’inverte. Dietro la vittoria di Iaia Calvio – successo insperato per un altro partito allo sbando come il Pd – ci sono senz’ombra di dubbio le trappole argute che, causa vendetta, Peppino il feudatario ha teso al suo amico-nemico Porcelli. Iaia ha incrementato il suo bottino preferenziale di 1500 schede. Schede indubbiamente lasciatele in dono dalla premiata coppia Lannes – Di Giovine, ma non solo. Impossibile non constatare che, dei 2281 voti di Moscarella, soltanto un centinaio si sono sciolti nel recipiente Porcelliware. La cinghia di trasmissione è stata volutamente inceppata dall’ex sindaco, poco restio a favorire i “congiurati” come li ha definiti Gianvito Casarella, pidiellino cerignolano, nel corpo di una nota.
Passaggio che, con esiti opposti, ha dato il massimo di sé a Sannicandro. Al duo terzo Polo – pd, è riuscita la spallata finale a Nino Marinacci, già convinto di avere in tasca, se non tutta, almeno una buona fetta della torta della vittoria. Ed invece, a fronte d’un incremento praticamente nullo dell’ex sindaco, su Vincenzo Monte sono confluiti tutti i voti del perdente Squeo che, nei passati giorni, aveva, contemporaneamente, annunciato la non volontà d’accettazione d’incarichi amministrativi e chiamato i suoi elettori a serrare le fila contro il pericolo rappresentato, appunto, dall’ex consigliere provinciale.
Sconfitto San Marco (che era, per il Pdl, una gara praticamente inutile) l’unico sollievo arriva da San Giovanni Rotondo, dove la litigiosità della sinistra, l’indecisione socialista sullo schieramento in cui trovar cadrega, e la voglia di tentare qualcosa di nuovo, premiano Luigi Pompilio che, sul fil di lana, ha la meglio sul cattolico del Pd Franco Bertani. Non è detto che, per il Pdl, sia una buona notizia. San Giovanni è terreno insidioso, ed i numeri, ad oggi, sono quel che sono. Senza contare il fatto che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe a breve aprirsi una fase di ricambio interno, con tanto di liti, scossoni e separazioni. Gabriele Mazzone è pronto ad andare via. Lui, 85 anni, il doppio di De Magistis, curriculum democristiano mai pentito, serrato nelle stanze dei bottoni, ha in mano le chiavi del partito. Il segreto della sconfitta è tutto qui.