Silvio: “Oggi c’è ancora il pericolo comunista”. E domenica si vota, amministrative in vista.

Creato il 04 maggio 2012 da Massimoconsorti @massimoconsorti

I "santini" elettorali del Pdl

Over The Topa non lo sa ma corre un grosso rischio. Forse non ricorda, o forse non lo ha mai saputo (intento com’era a seguire Drive In), ciò che è accaduto in UnioneSovietica o nella vecchia Germaniadell’Est o in Bulgaria, Romania, Polonia, Cecoslovacchia dopo la frantumazione del regime comunista e l’avvento della democrazia capitalista. Silvio non sa che la gente era disperata perché, dalla sera alla mattina, si era ritrovata con gli scaffali dei supermercati vuoti, l’elettricità tagliata e senza un copeco in tasca. Il passaggio dal comunismo al capitalismo fu traumatico e ancora oggi, i partiti che si rifanno ai vecchi regimi socialisti, hanno ancora un fottio di elettori. Silvio non immagina che, stante la situazione italiana, magari la gente preferirebbe un sano regime comunista, una sanità di stato, una scuola pubblica, autostrade non privatizzate, benzina nazionale, pensione certa e un regime meno confessionale a un presente di tecnocrati un po’ sadici. Silvio non sa che stavolta dire, come ha fatto ieri, che “C’è ancora il pericolo comunista”, potrebbe risultargli letale. Però nel frattempo si muove. In vista del 2013 sta affilando le armi per l’ennesima campagna elettorale che lo vedrà protagonista indiscusso di gag e barzellette senza senso, di bestemmie dette per gioco, di serate galanti perché se non torna al potere le Olgettine non se lo cagheranno più, di promesse promesse come parole parole, ma almeno quello era Alberto Lupo. “Mi sento tutti i giorni con Bossi e con Maroni”, ha detto Silvio che, oltre all’asse con la Lega, è evidentemente incapace di intravedere una qualsiasi alternativa. Punta su queste amministrative, Silvio, perché un tracollo del centrodestra potrebbe avere un effetto psicologico devastante sui suoi pasdaran, mai come in questo momento sull’orlo di una crisi di nervi che rischia di diventare incurabile. E pur di vincere, ha messo in campo parecchie risorse, chiamato a rapporto tutti i beneficiari delle sue amministrazioni fallimentari, i simpatizzanti, gli anti-Monti, i fascisti della prima e dell’ultima ora, gli Storace e le Santanchè che si fanno vivi una volta l’anno, quando si vota. Anche dalle nostre parti si vota. Ci dicono che in un paese vicino, il candidato sindaco del Pdl abbia organizzato una cena di pesce gratis per gli elettori: costo 11mila euro. Non sazio del pesce ha, dopo una settimana, organizzato un’altra abbuffata, stavolta in pizzeria. Non conosciamo la spesa ma, a meno che non abbia ricoperto le pizze di ostriche, caviale, tartufo bianco e innaffiato tutto a champagne, se l’è cavata sicuramente con meno di 11mila bei euroni. Diciamo la nostra, come sempre. Le campagne elettorali ormai puzzano di stantio, qualunque esse siano, chiunque le faccia, comunque vengano impostate. Nell’era di internet, dei tablet e degli smartphone sembra conti ancora parecchio la visita domiciliare, quella sorta di pellegrinaggio simil testimoni di Geova, che porta i candidati a bere 30 caffè, una quarantina di bicchieri di vino, qualche te, due biscottini e a fare quattro chiacchiere nelle quali si sproloquia del sol dell’avvenire (ovviamente in una sola giornata di visite). Le campagne elettorali sono tutte, fondamentalmente, stupide, prive di senso e spesso si avvalgono di testimonial ormai screditati ma che, siccome si vedono in tivvù, riempiono le piazze, quello che dicono non importa. In campagna elettorale tutti diventano improvvisamente oratori, anche quelli che fino all’altro ieri sillabavano a stento il loro nome e cognome non riuscendo a dirlo tutto d’un fiato. E poi tutti, diconsi tutti, parlano di bene comune, di collettività, di democrazia partecipata, di senso dello stato quando fino a ieri si sono fatti solo ed esclusivamente i cazzi propri. In campagna elettorale tutti i gatti sono bigi, i topi marroni, i cani a pois e la richiesta di una maggiore qualità della vita assume un valore catartico, peccato che, per molti candidati, essa diventi una nemesi. Tutti si sentono investiti del sacro compito di salvare la patria, la regione, la provincia, il comune, il quartiere poi, parlando con se stessi, arrivano alla conclusione “ma che cazzo me ne frega a me!”. Le campagne elettorali sono senza passione, e per passione non intendiamo il vezzo di alzare il tono della voce, perché la passione non sempre si urla, spesso la si vive. Trascinare le folle diventa l’imperativo categorico mentre l’ironia, il sano sfottò, il necessario sarcasmo diventano merce rara travolta dalla seriosità di aspiranti politici in crisi di creatività. Le campagne elettorali sono, infine, piene di guitti e dei necessari portatori d’acqua, quelli che fanno il lavoro sporco, quelli che cercano l’ultimo voto fino alle 13 e 55 di lunedì 7 maggio, come se l’ultimo voto fosse indispensabile per una affermazione fatta allo scopo di...? Cambiare le cose. Noi abbiamo un rispetto assoluto per chi si candida con l’idea di dare una mano, ma quando la candidatura si trasforma in una prigione forse è meglio evadere perché alla fine si vince un seggio ma si perde la dignità.  

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