Così scrive Simona Atzori nel suo Cosa ti manca per essere felice? (Mondadori), il libro che racconta la sua straordinaria storia di donna che, nata senza braccia, ha rifiutato fin da bambina di essere rinchiusa nei recinti della disabilità riuscendo a diventare ballerina e pittrice di assoluto valore.
Qualche giorno fa ho avuto la fortuna di intervistarla, insieme a Massimo Orlandi, in un incontro in Casentino organizzato dalla Fondazione Baracchi e per prepararmi ho letto questo libro, con qualche diffidenza iniziale, a dire il vero, temendo un'inflazione di retorica buonista, per così dire.
Mi sbagliavo: qui le emozioni ci sono, in concentrazione vicino ai limiti di legge, ma senza adulterazione, senza trucchi. Qui c'è una vita intera che si porge senza infingimenti e ostentazioni, cercando semplicemente di farsi largo fino ai nostri cuori.
Fino ai nostri cuori, ma anche oltre la giungla delle parole. Perché sono le parole che quasi sempre ti fregano, le parole sono la gomma che cancella la strada davanti a te, che vorresti e potresti percorrere.
Una parola su tutte Simona detesta, sempre che possa detestare qualcosa a questo mondo: la parola disabilità. Perché identificarsi con questa parola? Le parole - dice Simona - danno forma al corpo.
E fosse solo per questo pensiero - e per il dubbio che instilla - questo è un libro che vale.