Magazine
Simona Bonafè, Quasimodo e la cultura un tanto al chilo.
Creato il 19 giugno 2014 da AlessandromenabueA scanso di equivoci: questo cinguettio non è uno scherzo, è stato realmente pubblicato da Simona Bonafè sul suo profilo Twitter in occasione della prima prova degli esami di maturità. La miss preferenze del Pd alle ultime europee avvertiva l'impellente urgenza di dire la sua in proposito e probabilmente sperava di accattivarsi qualche simpatia giovanile: non si è trattenuta e, tradita dalla fretta ma soprattutto da un'avvilente ignoranza, ha scodellato un tweet talmente maldestro da far rosicare la regina delle gaffes Pina Ciriaca Picierno. Salvatore Quasimodo: colui che negli anni '60, dalle pagine del settimanale Tempo, esortava i giovani a non farsi omologare e stritolare dalle logiche del consumismo, a diffidare dei profeti improvvisati, a interrogarsi sul vero significato della parola progresso. Non c'è che dire, l'archetipo della twitstar: chi non se lo immagina, tra un caffè con Elio Vittorini e una riunione con Zavattini, ammazzare il tempo discettando su #Facebookdown o #Shazam in centoquaranta spassosi, ermetici caratteri? Lassù nell'olimpo di Twitter, impegnato in una lotta all'ultimo follower con Insopportabile e Bonnie La Cozza. Che un Nobel per la letteratura mica te lo danno perchè hai messo insieme due poesie, piuttosto pallosette oltretutto.
Anche questo è il renzismo, col suo compiaciuto contorno di inconsistenti galoppini. Nel film Aprile uno sconsolato Nanni Moretti accusava la sinistra della sua generazione di essersi formata culturalmente passando le ore in sezione a guardare Fonzie e Happy Days. Bei tempi. Una parte della generazione di Renzi e Bonafè che si autoproclama, non si sa a quale titolo, di sinistra è cresciuta con Beverly Hills 90210 e le canzoni degli 883, acclama Lorenzo Jovanotti quale maestro di pensiero, vede in Laura Pausini l'erede di Mina, elegge Fabio Volo a filosofo del nuovo millennio e allo stesso tempo detesta i "professoroni", quelli come Zagrebelsky o Rodotà, fieramente sbertucciati da Sua Vacuità Maria Beata Elena Boschi. E consegna a Quasimodo la palma postuma di twitstar, confondendolo probabilmente col protagonista di Notre-Dame de Paris. Il musical, naturalmente. Qual è la differenza coi tunnel gelminiani? Nessuna. "C'è profonda sintonia con Berlusconi", rivendicava orgogliosamente Renzi lo scorso gennaio mentre rasserenava Enrico Letta affilando il coltello con cui lo avrebbe pugnalato. Non parlava soltanto di riforme, le affinità sono più profonde e posano le loro incerte fondamenta sulla totale assenza di solidi riferimenti culturali e quindi politici. Il pantheon renziano è iperinclusivo: da Mandela ai Righeira tutti possono trovarvi posto ma nessuno lo abita stabilmente. Sono modelli che vanno e vengono a seconda delle opportunità, un pret-à-porter delle idee. Il renzismo vive di citazioni, di Wikipedia, è nozionistica un tanto al chilo buttata alla rinfusa nel carrello della spesa tanto caro al boy da Pontassieve. E la politica diventa slide, tweet, post. Torna alla mente il testo di una canzone del 2006 di Ivano Fossati, Il Battito: "Senza studiare, senza fiatare, basta intuire che è anche troppo. Colpo d'occhio è quello che ci vuole, uno sguardo rapido. Il nostro suono è un battito". Oggi, giugno 2014, abbiamo Renzi, i renzini, il loro sguardo rapido. E miope.