Simone Cattaneo: Racconti del corpo

Da Narcyso

Simone Cattaneo PEACE E LOVE, Il ponte del sale 2012


Ammetto di fare ancora fatica a pensare all’opera di un autore, soprattutto se giovane, come la risultante di un contesto generazionale con tratti addirittura comuni – ma del resto in questo modo sono stati presentati – e con quale impeto affettivo dei padri verso i nipotini! – le ultime leve della generazione appena uscente ed ora anche quelle di una generazione che si appresta ad entrare, mi chiedo dove… E’ in effetti una lettura della poesia di questi anni basata sulla logica di chi entra e di chi esce che non condivido, come ho sempre detto apertamente. E quando, mi chiedo, si deciderà di lasciare solo un autore, con tutto il peso della solitudine e della responsabilità rispetto alla sua parola! Forse in nome del distacco che il tempo e la morte mettono in atto tra il poeta e la poesia, il poeta e il suo tempo, a nome di questa distanza riesco a parlare del libro, in parte postumo, di Simone Cattaneo.
Il libro antologico di questo giovane autore prematuramente scomparso, dovrebbe porsi simbolicamente nel progetto ideale – di un lettore accorto e informato – di staccare la sua opera, come quelle di altri, dal contesto italiano e generazionale in cui é maturata, un’opera che, nel bene e nel male, di italiano ha molto poco e di generazionale conserva il dato superficiale e bruciante dell’esperienza. E’ quindi un libro decontestualizzabile, questo, perché lo si sarebbe potuto pubblicare 40 anni fa, negli anni della contestazione giovanile o della beat generation. O meglio ancora negli anni della Milano da bere.
Queste poesie raccontano con crudezza di termini il degrado delle persone, feriscono e si autoferiscono utilizzando un linguaggio al limite del patologico, spesso inutilmente teatralizzato, laddove il dolore diventa il dato sensibile di una tendenza al brutale e al masochistico, il cui teatro é il corpo in disfacimento, la maschera del grottesco senza censura. E’, dunque, una poesia per la morte – la propria e quella degli altri – senza la sordina che la lingua poetica italiana attua per tradizione nelle situazioni più scandalose, più vicina al tableau della cronaca nera, al ritrovamento del referto, alla violenza per rinuncia di qualsiasi gesto pietoso, più somigliante a certe cronache di un realismo americano mai passato di moda – per esempio Jhon Giorno, o di Luise Glucke – o forse alla descrizione, altrettanto masochistica ma scientifica dei cadaveri di Benn, di Ferrari o di Di Palmo.
Qui i corpi abitano ancora una specie di vita, di amoralità sociale….ma forse ontologica, non so…nel senso che Cattaneo sembra prefigurare una sparizione della specie, degradata per istinto e tradizione, piuttosto che per cause sociali.
Racconti di altri, dunque, presunti o inventati, non nell’ottica di un affare cronachistico, ma di un realismo aumentato in cui anche l’io Cattaneo si dà in pasto, espone le sue degradazioni mischiandosi alla gente e riconoscendosi nei vizi e nella disperazione collettiva – si veda il titolo del primo testo di Cattaneo, “Nome e soprannome”, in cui il privato si alterna al sociale e al collettivo, ed essi abitano e si espongono nella stessa arena. Senza protezioni.
Libro disperato, senza speranza e senza religione, che piacerebbe al Coviello di Casting, che espone, senza censurarli, proprio per procedimento compositivo, i suoi stessi difetti, la propria ansia, la propria idea di non vita. Il corpo della donna, a volte, é, per brevi istanti, luce di una momentanea speranza, ma poi scompare o si perde nei meandri delle periferie urbane; così il sesso é forte e l’amore un fiore debolissimo ingoiato dai maiali.

Sebastiano Aglieco

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