Donna non si nasce, lo si diventa. Nessun destino biologico, psichico, economico definisce l’aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell’uomo; è l’insieme della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il maschio e il castrato che chiamiamo donna.
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Sono probabilmente le righe più famose di un testo che ha fatto epoca, Il secondo sesso di Simone De Beauvoir. Il libro è stato pubblicato per la prima volta in Francia nel 1949, e da allora molte cose sono cambiate, ma rimane il fatto che nella percezione generale la donna rimane l’altro contrapposta a quell’essere che è l’uomo. Lo vediamo quotidianamente, e non solo negli stipendi più bassi delle donne a parità di lavoro. Se una donna ottiene un risultato straordinario viene subito sottolineato il fatto che è una donna, mentre se il risultato straordinario è ottenuto da un uomo nessuno sottolinea il fatto che sia un uomo. Per gli uomini è normale fare le cose fuori dall’ordinario, per le donne no. Ci sono cose come la gestione della casa affidata quotidianamente alle donne. Nella migliore delle ipotesi l’uomo aiuta. Non è lui a pulire i pavimenti, occuparsi della biancheria, fare la spesa, lavare i piatti, riordinare le tremila cose che quotidianamente si trovano in giro, compresa la biancheria dell’uomo che per chissà quale strana alchimia ha dimenticato dove si trova il cesto della biancheria sporca. Se aiuta, appunto aiuta. Non è lui a fare e lei ad aiutare. Anche la nostra lingua è maschilista. Se si parla di un insieme di cose o di persone tutte di genere femminile con l’unica eccezione di un elemento maschile, la nostra lingua vuole il maschile.
Forse dovremmo ribellarci più spesso a questa situazione come inavvertitamente ha fatto Alessia un paio di mesi fa, quando ha apostrofato suo padre chiamandolo “donno”. Quando le abbiamo chiesto una spiegazione lei ha tranquillamente spiegato che “un donno è una persona che non è una femmina”. Grande! Ci sono alcune cose di cui dovremo parlare in futuro, ma mi sembra già sulla strada giusta.
Quella del Secondo sesso è una lettura forte. Impegnativa, richiede concentrazione e attenzione, ma non è sempre sullo stesso livello. Il libro è lungo, 700 pagine, ed è difficile mantenere la stessa tensione e chiarezza espositiva in un testo di questa mole. E non tutto per me risuona allo stesso modo, ma questo non è un problema. Nella postfazione Liliana Rampello riporta un commento di Letizia Bianchi sulle sue letture del libro. “Dalle sottolineature e dai commenti vedo che l’ho letto in maniera selettiva prendendone quello che mi serviva e lasciando da parte sia la tesi di fondo sia alcuni ragionamenti che non mi quadravano” (pag. 708) ha scritto.
È quello che ho sempre fatto io, anche con i consigli del pediatra (a meno che non riguardavano uno specifico problema di salute): ho letto/ascoltato/seguito i consigli che mi piacevano e ignorato il resto. In fondo ho una mente e sono libera di gestire autonomamente le mie cose. Però è importante leggere certi testi, ascoltare certi pareri, per avere spunti di riflessione su cose che altrimenti ignoreremmo. Si può non condividere la tesi di fondo, ci si può pure annoiare in alcuni passaggi, ma Il secondo sesso è un libro che va letto e su cui bisogna riflettere perché siamo tutti esseri umani.
Un estratto: http://www.ilsaggiatore.com/argomenti/scienze-sociali/9788842814887/il-secondo-sesso/.