Prima di incontrare Simonetta Agnello Hornby per una chiacchierata sul ultimo libro, La mia Londra (Giunti editore), ho assistito alla presentazione che la scrittrice siciliana-londinese ha offerto al numeroso pubblico del Salone del Libro di Torino, lo scorso maggio. Ci sono voluti pochi minuti per rendersi conto che la signora Hornby è un’artista della parola, non solo scritta, e non è certo un caso che la sua professione nel Regno Unito sia stata quella di avvocato e giudice del tribunale dei minori.
Mentre dal palco, con il suo italianissimo accento, racconta ai lettori le sue peripezie di giovane siciliana a Londra negli anni settanta, Simonetta Agnello Hornby, che rivela un carattere schietto e ironico, cattura l’attenzione con aneddoti divertenti e dettagli inediti di una città che ha dato i natali a suo marito e ai suoi figli. Una Londra che l’autrice sente sua e conosce molto bene, tanto da scrivere una guida a uso e consumo del visitatore che cerca percorsi alternativi a quelli del turismo classico.
Nel corso del nostro incontro, nell’affollato stand dell’editore Sellerio (con cui nel 2011 ha pubblicato Un filo d’olio), Simonetta Agnello Hornby ripeterà più volte la sua incondizionata passione per la capitale inglese, che non le ha mai fatto rimpiangere la Sicilia natale.
La nostra conversazione, più volte interrotta dai fan in cerca di una firma o una foto, mi ha rivelato una donna di carattere, determinata e poco incline ai giri di parole. Diretta e concisa, mi ha raccontato di sé.
Che cosa l’ha spinta a scrivere questa guida autobiografica?
È molto semplice, io amo Londra e voglio farla amare anche agli altri e amo mamma e Zia Teresa e volevo fare un omaggio anche a loro. Mi interessava parlare del mio periodo di gioventù, dai dodici ai diciassette anni, perché è stato molto particolare. Le storie che racconto sono autobiografie in cui tutto è vero o, se non è vero, pare vero a mia cugina Maria a mio cugino Silvano e mia sorella, perché loro per me sono il “comitato editoriale”. Ho scritto religiosamente quello che loro approvavano, certe volte ho dovuto scrivere anche cose che io non ricordo, ma loro tre dicono che sono successe.
L’autobiografia a un certo punto del libro si interrompe e Londra diventa l’unica protagonista. Come mai non ci ha raccontato nient’altro di lei?
Perché il resto della mia vita riguarda solo me, non Londra. Non mi piace raccontare i fatti miei.
Come faceva nei suoi primi anni londinesi a conciliare la sua professione, la scrittura e due bambini piccoli?Tagliando cose. Io non vado al cinema dal ’72! Bisogna fare delle scelte.
Non ha mai avuto nostalgia dell’Italia?
No, non sono una creatura di rimpianti.
Se dovesse tornare indietro rifarebbe tutto?
Probabilmente, sì. La saggezza degli anni è una sciocchezza. Io rimpiango di aver fatto delle cattiverie o scortesie alla gente, ma null’altro. Rimpiangere è come la nostalgia, fa soffrire e basta. Io traggo lezioni dai miei errori, forse certe cose dovrei rimpiangerle, ma io voglio andare avanti, tutto qui.
C’è un’abitudine italiana a cui non rinuncerebbe mai?
Il caffè. Io senza caffè sto male.
Ne La mia Londra lei dice che in Inghilterra si legge molto. In Italia, purtroppo, sappiamo che non è così. Cosa possiamo fare per cambiare le cose nel nostro Paese?
Insegnarlo ai bambini. Ci sono libri di plastica che si danno ai neonati. Leggere ai neonati, questa è la chiave.
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