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Sin City: Una Donna Per Cui Uccidere - La Conferenza Stampa Romana Con Robert Rodriguez e Frank Miller
Creato il 16 settembre 2014 da Giordano CaputoI due registi di "Sin City: Una Donna Per Cui Uccidere" sono venuti a Roma per incontrare stampa e pubblico e parlare a viso aperto della loro nuova pellicola. Molte le domande che gli sono state rivolte, immensa la loro disponibilità. Questo il resoconto completo della conferenza stampa.
Quali sono state le difficoltà tecniche di questo secondo “Sin City”? Cosa è cambiato rispetto al primo?
Robert Rodriguez: Nel primo film sia troupe che attori non conoscevano molto bene la tecnica del green screen per cui erano un po’ a disagio e si sono dovuti fidare di me. Questa volta invece erano tutti a loro agio, va detto che la tecnologia era anche più complessa, ma in quasi dieci anni c’è da dire che quasi tutti gli attori si sono abituati a lavorare e a girare su green screen e questo sicuramente ha reso le cose un po’ più semplici. Ma l'’innovazione maggiore di questo secondo capitolo è l’uso del 3D, che qui riesce a far prendere vita ai disegni e all'universo disegnato da Frank.
Quali sono i riferimenti cinematografici dei personaggi?
Frank Miller: I miei personaggi vengono da ovunque, la maggior parte dalla mia immaginazione e dal mio cervello. Io sono cresciuto studiando come appassionato di fiction-crime e di film noir, e questo ovviamente si intravede nei personaggi che ho creato. Per quanto riguarda il personaggio di Eva Green, volevo che lei diventasse la quintessenza della femme fatale, che riuscisse a superare tutto quello che era stato fatto sulle femme fatale fino ad ora, volevo renderla l’ultima femme fatale vivente. Lei è stata brava a mettere tutta se stessa nel ruolo, a far tesoro di quelle che erano state le femme fatale del passato e a rendere il suo personaggio terrificante, sexy e anche molto tragico. In genere io comincio a lavorare ad ogni cosa scrivendo una frase sul muro e per il personaggio di Marv stavolta avevo scritto: Conan con un trench. Volevo realizzare un personaggio che mi permettesse di superarmi, volevo fare una specie di barbaro che vive in un contesto urbano.
Nel primo episodio di “Sin City” Dwight McCarthy era interpretato da Clive Owen, mentre in questo secondo è Josh Brolin a interpretare il Dwight prima versione, quello prima della chirurgia plastica, esattamente come nel fumetto. Ma come mai nel film, nella scena del treno, dove in teoria dovrebbe apparire il Dwight di Clive Owen troviamo nuovamente quello di Brolin alterato dal trucco?
R.R.: L’idea era quella di avere due attori diversi per il personaggio di Dwight , uno nella prima parte e uno per la seconda post-operazione. Era nei nostri piani quindi far tornare Clive Owen per la scena del treno. A causa di alcuni piani di lavorazione che aveva con altri progetti però, Owen sarebbe stato disponibile con sei mesi di ritardo rispetto alle nostre esigenze, tuttavia avevamo intenzione di aspettarlo. Poi durante le riprese abbiamo visto la splendida performance di Josh Brolin e abbiamo cominciato a pensare di provare lui anche nella scena finale. Avevamo un giorno di riprese extra, così abbiamo detto: proviamo, vediamo come va, se non dovesse andare bene aspettiamo Clive. Ma secondo me Josh è stato perfetto.
F.M.: Volevo aggiungere che gli attori amano lavorare, gli piace stare sul set e che quelli più bravi sono spesso molto impegnati. Quindi siamo stati fortunati ad avere il cast che volevamo, un cast meraviglioso e io sono stato continuamente ispirato dalle loro performance. Anche perché in questo secondo capitolo siamo andati più in profondità con i personaggi e abbiamo avuto modo di innamorarci ancora di più di ognuno di loro. Vorrei sfatare anche il mito che c’è sugli attori: gli attori sono dei grandissimi lavoratori, sono delle persone creative e contribuiscono tantissimo al processo e alla riuscita finale di un film. Saranno capricciosi, a volte, ma sono una parte fondamentale di quello che poi è il risultato finale di un film.
Nella conversazione sul fumetto avvenuta tra il maestro Frank Miller e Will Eisner , prima ancora di girare il primo “Sin City”, Eisner diceva che i fumetti con il cinema non centrano niente, e sembrano più adatti per il teatro. Visto il senso di stage che fornisce il green screen, questa teoria è stata riportata sia nei due “Sin City” che nella versione cinematografica di “The Spirit”?
F.M.: Per questo devo dare il merito a Robert. Io quando ho disegnato le storie di “Sin City” mi ero prefisso un obiettivo: non dovevano essere storie adattabili per il grande schermo. Ho scritto storie che secondo me erano impossibili da portare al cinema. Poi Robert mi ha fatto vedere che si poteva fare, mi ha spiegato come si sarebbe potuto fare ed il risultato è stato questo. Quindi il merito va a lui perché ha saputo creare una nuova forma di cinema e ha reso possibile questa combinazione.
Con Eisner siamo stati amici per venticinque anni, trascorrevamo tanto tempo insieme e spesso discutevamo di questo perché lui vedeva i fumetti come materiale letterario pertinente al teatro mentre io a volte dicevo che si potevano anche utilizzare per il cinema. Il mio rapporto con Eisner è stato molto intenso, abbiamo passato intere serate a cena a discutere di qualunque cosa: dal bordo della cornice da mettere o meno intorno a un disegno, all'uso di una penna al posto di un'altra. Ci volevamo molto bene e ci rispettavamo molto, abbiamo avuto un rapporto burrascoso ma anche molto intenso.
Ci sono altre sequenze del divertente cameo di Robert Rodriguez e Frank Miller che abbiamo visto nel film?
R.R.: Di quello nella sceneggiatura c’era solo scritto: Nancy sta guardando un vecchio film. Quindi io e Frank abbiamo detto: quando abbiamo tempo gireremo qualcosa che faccia ricordare a un vecchio film. Poi non avendo mai pensato a quali attori scegliere, siamo arrivati al termine delle riprese e abbiamo deciso di farlo io e Frank. E’ stata l’ultima sequenza che abbiamo girato nell'ultimo giorno, alle cinque del mattino. C’è anche qualche altra immagine che metteremo nel DVD, ma non è niente di fondamentale.
Considerando i risultati di “Sin City” Frank Miller e Robert Rodriguez hanno mai pensato di poter vendicare l’onore di “Daredevil” dopo il terribile film di qualche anno fa?
R.R.: No, non ho mai pensato ad un film su Daredevil.
F.M.: Ho imparato tantissimo da Rodriguez, come ho imparato moltissimo dal processo di creazione di “Sin City” e ho capito che se si vuol fare un buon film tratto da un comic-book bisogna possedere e conoscere benissimo il materiale di partenza. Ma la vita è un po’ troppo corta per preoccuparsi di quel che fanno gli altri.
La sua graphic novel, “Holy Terror”, ha avuto delle critiche ferocissime: ma alla luce di quello che succede oggi, non crede che qualcuno gli debba delle scuse?
F.M.: Un giorno nel 2001 circa tremila dei miei concittadini sono stati uccisi in una maniera assolutamente brutale e violentissima. Quello che ho scritto e disegnato è stata una mia reazione, un modo per tirare fuori la mia rabbia, il mio dolore e sono molto fiero di quello che ho realizzato. Non mi sono scusato con nessuno, come nessuno si è mai scusato con me.
Qual è il motivo delle molte scene di nudo e delle immagini molto sexy che ci sono nel film? E c’è una spiegazione per la scena molto strana in cui si intravedono tre mucche poste nel giardino, fuori alla villa del senatore?
R.R.: Il film è basato sulla graphic novel “Sin City: Una Donna Per Cui Uccidere” che di suo conteneva tantissime scene di nudo. Noi, volendo esser fedeli all'opera originale, abbiamo cercato di riportare la stessa cosa anche sul grande schermo. Però si tratta di nudi artistici, funzionali alla storia, che proprio per questo non hanno creato problemi neppure alle attrici. Per la storia delle mucche lascio la parola a Frank che le ha messe anche nello storyboard e ciò che lui mette nello storyboard io lo devo girare.
F.M.: Bè, quello per me è un ranch, quindi le mucche devono esserci. E poi penso che le mucche siano buffe sia da guardare che da disegnare. Mi sorprende invece la domanda sul nudo perché non sto facendo una conferenza stampa in Ohio. Siamo a Roma, in Italia, quindi che c’è di male nel vedere tante belle donne nude? Non mi aspettavo da Roma una domanda del genere!
Trent’anni fa Frank Miller diceva che nel mondo dei fumetti c’era bisogno di fuori legge e che lui era un fuori legge. Oggi c’è ancora spazio nell’intrattenimento americano per i fuori legge?
F.M.: Si! Anche perché senza i fuori legge non ci sarebbero neanche i supereroi. E nessuno spazio per Superman e per Marv!
All'epoca del primo “Sin City” Robert Rodriguez aveva creato un po’ di scandalo nella Directors Guild Of America, quando aveva cercato di registrare Frank Miller come co-regista dell’opera. Voleva chiaramente essere un riconoscimento creativo nei confronti di Miller, ma come si è sviluppata la questione e le sue polemiche?
R.R.: Si, negli Stati Uniti ci sono delle strane regole delle quali non ero consapevole: se non ricordo male una è che non si possono inserire due registi nella stessa opera se non hanno mai lavorato da soli in precedenza. Per cui vista la polemica che si era creata per "Sin City" ho preferito uscire dalla Directors Guild Of America piuttosto che proseguire insieme a loro. Anche perché per quelli come me che non sono solo registi ma fanno più cose, queste regole ti rendono di difficile collocazione, e visti i tanti problemi ho preferito andare via. Ma è stata una cosa che volevo fare in silenzio, solo che poi si è creato uno strano rumore intorno che si poteva sicuramente evitare.
F.M.: Robert è troppo modesto. In realtà una mattina lui è venuto da me e mi ha comunicato che la Directors Guild Of America voleva che togliesse il mio nome tra i registi del film, ma che lui pur di non farlo avrebbe preferito togliere il suo. Io gli ho detto che non era giusto, perché in fin dei conti era lui il regista del film. Così gli ho detto, pensaci bene, vai sul set e poi mi dici cosa vuoi fare. Alla fine abbiamo avuto una conversazione meravigliosa in cui lui si è dimostrato generosissimo e ha preso la decisione di uscire dall'ordine dei Directors Guild Of America.
Tempo fa Frank Miller si è scontrato anche con Alan Moore a proposito di “Occupy Wall Street”, vi siete riappacificati da allora?
F.M.: Io e Alan siamo amici da diverso tempo, però pare che non andiamo d’accordo su nulla e litighiamo su qualunque cosa. Quindi lui continua a pensarla a modo suo mentre io continuo a pensarla a modo mio.
I lavori firmati Marvel o DC Comics, al cinema rappresentano spesso la visione che il regista si fa di quel fumetto. Invece Robert Rodriguez con “Sin City” ha fatto qualcosa di molto intelligente e rispettoso, trasponendo la visione del disegnatore Frank Miller nel film. E’ questo, secondo voi, il punto di forza di questo franchise?
R.R.: Si, io ho sempre tenuto molto alla fedeltà del fumetto. Anche nel titolo ci tenevo a mettere Frank Miller’s Sin City perché lui ha una visione così completa che sarebbe stato impossibile fare un adattamento cinematografico. Paradossalmente è stato più facile il contrario, io ho cercato in tutti i modi che la sua visione completa, integra e profonda diventasse film.
F.M.: In effetti è molto divertente. Molti mi chiedono come mai non lavoro ad Hollywood, e in effetti abbiamo girato a Huston, Austin, ma mai Hollywood. Grazie alla collaborazione con Robert però ho capito che i comic-book possono diventare film solo in questa maniera, quindi senza farli entrare in quel trita carne che è Hollywood, in cui una graphic-novel o un comic-book diventa semplicemente una cosa simile a tante altre. Infatti i migliori adattamenti recenti di comic-book sono quelli che sono rimasti fedeli al materiale di partenza, in fondo i comic-book sono disegnati da una sola persona e se entri ad Hollywood sei costretto invece a condividerli con tutti. Per cui dopo diventa complicato mantenere integrità al prodotto. Come consiglio io dico sempre di restare fedeli alla storia, di seguire il materiale di partenza.
Avete lavorato a quattro mani per questi due film, ma tecnicamente come è stato realizzarli? Come vi mettevate d’accordo per la gestione della macchina da presa, chi parlava di più con gli attori, e lo facevate prima, durante o dopo le riprese?
R.R.: Diciamo che sul set abbiamo avuto un rapporto molto stretto e di collaborazione. Ci siamo divertiti tantissimo e delle volte ci dimenticavamo di chi era stata l’idea che poi funzionava meglio. Spesso io cominciavo una frase e lui la finiva, alla fine amavamo entrambi il comic-book, amavamo quello che stavamo facendo, amavamo gli attori, quindi spesso io nemmeno ricordo se in una particolare scena abbiamo usato una mia intuizione o una di Frank. Quando capitava di avere delle idee leggermente diverse le provavamo entrambe e poi sceglievamo quella che funzionava meglio. E alla sera dicevamo sempre: che bella giornata oggi non vedo l’ora che arrivi domani.
F.M.: All'inizio della nostra collaborazione abbiamo avuto delle discussioni sulla maniera da utilizzare per raggiungere un obiettivo, ma l’obiettivo era sempre lo stesso. Alla fine sono giunto alla conclusione che io e Robert siamo due fratelli separati alla nascita.
Robert Rodriguez per guadagnare i soldi di cui aveva bisogno per cominciare a fare cinema ha fatto da cavia umana, qual è invece il sacrificio più grande che Frank Miller ha fatto per l’arte?
F.M.: Sicuramente non mi sono mai prestato a nessun test medico, forse all'inizio ho avuto molta fame e ho camminato per le vie di New York con delle scarpe talmente logore che sembrava di camminare a piedi scalzi.
Entrambi i film di “Sin City”, ma specialmente il secondo, costituiscono una specie di evoluzione rispetto al fumetto. A tal proposito, si potrebbe dire che per “Sin City” oramai è impossibile un ritorno alla carta, ma che la sua evoluzione naturale sarà solo al cinema?
F.M.: E’ un ottima domanda, alla quale però è difficile rispondere. Certo oggi per me sedermi al tavolo e disegnare Marv senza pensare a Mickey Rourke è praticamente impossibile. Quello che posso dire è che la vita va così, bisogna aspettare e vedere quello che succederà.
L’uso del 3D, oltre a una marca estetica, cosa può portare a livello narrativo o di resa psicologica per un personaggio?
R.R.: Credo che sarebbe interessante vedere il film in tutte e due le versioni. Per rendersi conto che quella in 3D porta moltissima vita in più al mondo creato da Frank. L’universo creato da lui è molto molto astratto e le sue immagini sono molto asciutte, non ci sono tantissimi elementi in scena. Quindi, magari, vedere un puntino bianco fermo è diverso da vederlo in movimento e rendersi conto che si tratta di neve. In questo caso, avendo immagini molto essenziali, il 3D ti aiuta a concentrare l’attenzione sugli elementi fondamentali che Frank ha scelto accuratamente per il suo lavoro.
F.M.: Volevo aggiungere che quello che conta è la storia e in questo caso l’uso del 3D aiuta ancor di più noi a guardare le cose che servono e che sono funzionali alla narrazione. Se invece il 3D deve essere utilizzato per altro secondo me non è importante.
Cosa ne pensa Frank Miller del trailer di “Batman vs Superman” che è sembrato iconograficamente molto ispirato al suo Dark Knight? E cosa ne pensa in generale delle ultime trasposizioni di Batman al cinema?
F.M.: Non l’ho visto. E non lo voglio vedere. Possono fare tutto quello che vogliono con quello perché io non ne faccio parte.
Al termine della conferenza stampa Robert Rodriguez e Frank Miller sono stati premiati con il Romics D'Oro.
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