Ci sono libri che dovrebbero essere un groppo di rimorsi e rimpianti, per un mondo che non c'è più: soprattutto se a farlo sparire è stato il peggio dell'uomo.
Questo dovrebbe essere uno di quei libri, senz'altro: con le sue storie di una Varsavia ebraica che non c'è più, cancellata nella sua gente e nella sua lingua, spazzata via mattone su mattone, fino alle fondamenta. Eppure no, queste non sono pagine del rimorso e del rimpianto. Non destano quelle sensazioni che, per dire, poche settimane fa ho provato aggirandomi per Varsavia, per quei luoghi che non sono più quei luoghi, amputati di un passato che solo qualche targa o un monumento prova a riacciuffare.
Fin dal titolo questo è un libro intriso di dolcezza. I ricordi non fanno male, anzi, sono un modo di riconciliarsi con se stessi. Un giorno di felicità, così si intitolano le memorie di Isaac B. Singer. Il figlio di un rabbino povero alle prese con la varia umanità degli ebrei di Varsavia. Religiosi e operai, piccoli negozianti e artigiani. Il lattaio amico di famiglia e l'amico ribelle. Una galleria di figure e vicende quotidiane. La storia di un'infanzia a suo modo felice, nonostante gli stenti. Vita di uno scrittore che non è ancora scrittore, che nemmeno può fantasticare, sulla possibilità di diventare scrittore: e che pure da quel mondo tirerà fuori la materia prima dei suoi libri.
Chi lo poteva immaginare, era ancora niente. Quel mondo, che era perfino antico, si apprestava a sparire di colpo. Chi lo poteva immaginare.