Sinister è un horror interessante, che viene da produttori (quelli di Paranormal Activity) e regista (Derrickson, quello di L’Esorcismo di Emily Rose) che, detto in tutta sincerità, non facevano ben sperare.
Neppure il poster, l’originale e i successivi, contribuiscono a fornire al film un vago alone d’interesse, sembrando l’ennesima, stanca riedizione de: la ragazzina posseduta che vomita, bestemmia come uno scaricatore di porto, manca di rispetto ai preti che la vogliono esorcizzare.
Ma no, niente di tutto questo.
Il film fa uso sapiente dell’attesa, la costruisce, le balla attorno, inizia mostrando allo spettatore un’impiccagione multipla, quattro persone che vengono appese contemporaneamente, sfruttando la caduta, dalla parte opposta dell’albero, di un pesante ramo. In più, il filmato appare d’epoca, muto, girato con una vecchia cinepresa, ciò, a introduzione dell’arcinoto metodo narrativo del found footage (filmato rinvenuto, letteralmente), conferisce al prologo un’atmosfera malsana, che fa gola e mette i brividi.
L’idea è quella di un crimine irrisolto, di un assassino che si diverte a orchestrare omicidi familiari, per di più in modi creativi, e di filmarli.
Niente di nuovo, ma di classe ce n’è a pacchi.
Quasi da non credere.
E in effetti, il risultato è che, oltre alla classe, Sinister si perde dietro parecchi pezzi, pesca a piene mani nella banalità e nei cliché del genere, proprio quando pareva averli saggiamente evitati.
Sembra che Derrickson si sia divertito a creare un’atmosfera malevola, riuscitissima, e a sputarle sopra, guastandola.
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[contiene anticipazioni]
Per rispondere alla domanda fondamentale: Sinister fa paura?
Sì, e si tratta sia di paura meccanica, balzi e sobbalzi, rumori improvvisi, strani giochi di luce che lasciano intuire chissà cosa, sia attraverso una costruzione dell’angoscia, il sentimento del possibile, magistrale. Poi come detto perde i pezzi come Pollicino, solo che anziché ritrovare la strada di casa si smarrisce, decomponendosi.
Ethan Hawk, maturato, che ha cessato di essere il ragazzino ribelle e l’universitario disilluso, offre una prova interessante. Ritengo, a proposito, che un attore non si possa mai dire tale se, almeno una volta, non si sia cimentato con l’horror.
Ho bestemmiato?
Forse.
Però lo penso sul serio. Vale anche per le attrici. L’horror, se di qualità, è l’occasione per sondare abissi dell’animo, di esternarli, di rendere credibile un sentimento altrimenti impalpabile, il terrore, che resta affidato, nella maggioranza di queste produzioni, al rumore.
Qui di rumore ce n’è, ci sono i sussurri della notte, i volti nell’ombra, inumani, che fanno agghiacciare. C’è tutta una storia costruita attorno a una catena d’omicidi avvenuti in decenni diversi e in Stati diversi: famiglie massacrate e uno scrittore (Hawke) che pesca nel torbido, scrivendo un libro e cercando di districarsi in questi cold case, trovando ulteriori spunti d’indagine per le autorità.
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Quindi la struttura del film si regge su Ethan Hawke, chiuso nel suo studio al buio, cinepresa accesa, che si guarda i filmini degli omicidi realizzati, si suppone, dallo stesso serial killer.
All’indagine investigativa si associa fin da subito la sfumatura sovrannaturale, indizio dopo indizio, che si manifesta nell’individuazione, in ciascuno dei filmati, di un volto grottesco, appartenente a una creatura di sembianze umane, che ha presieduto, come spettatore, a tutti i crimini, di decennio in decennio.
I filmini sono realizzati, abbiamo detto, con una vecchia cinepresa, o almeno questa è l’impressione che danno, privi di sonoro e alquanto impressionanti.
A volte, per suggerire l’orrore, è sufficiente mostrare, come accade, la quotidianità delle famiglie prese di mira, chi gioca in piscina, chi fa campeggio, chi semplicemente si trova a casa propria a fare ciò che vuole, e far seguire a tali fasi quelle del crimine brutale.
E invero, se Sinister si fosse mantenuto sul filone indagine poliziesca, senza eccedere con la contaminazione sovrannaturale, sarebbe risultato opera compiuta.
Nel preciso momento in cui, memore di quanto fece con L’Esorcismo di Emily Rose, Derrickson si concede il lusso di apparizioni improvvise alle tre del mattino, visi ripresi nei filmati che si muovono guardando chi è dall’altra parte dello schermo, e altre cosacce del genere, compresa la bambina (figlia di Hawke nella finzione) che si mette a disegnare sulle pareti il ritratto di un’altra bambina scomparsa, che lei vede accanto al letto ma che nessuno degli adulti scorge, ecco, lì Sinister frana giù nella scarpata.
Perché distrugge tutta la manipolazione tensiva che era stata effettuata fino ad allora. Quel che è peggio, questa svolta sovrannaturale persiste fino alla conclusione.
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Interessante, invece, il discorso (che Derrickson rende più o meno palese) sulla potenza dell’immagine. Il demone che sovrintende a questi delitti si nutre di immagini e attraverso le immagini esplicita il proprio potere sull’uomo. Facile richiamarsi, se si sono fatte certe letture, al fatto che la potenza divina sia al contrario Parola, e che in certe religioni rientri tra i divieti più stretti qualsiasi tentativo di raffigurare il nume.
Ma non solo, anche il protagonista, Hawke, è immagine di se stesso, ancorato al passato di successo (ha venduto un best seller), non riesce più a produrre nulla di nuovo, tentando di “rifarsi un’immagine” e quindi una vita.
Altra menzione riguarda l’uso della simbologia che precede la manifestazione esoterica: Bagul, l’entità maligna, è dapprima scorpione e serpente, poi cane nero.
Il cane nero fa parte della mitologia celtica, è una figura spettrale che si dice venga incontrata, di tanto in tanto, dai viandanti, lungo le strade di campagna. Il cane si limita a spaventare i malcapitati, e viene considerato segno di prossima morte per coloro che lo incrociano.
In conclusione, Sinister appare un po’ lento, tocca vette sapienti, ma si autodistrugge, smarrendo dietro di sé addirittura un personaggio: il figlio di Hawke che sembra incarnare la figura chiave fino a metà del film e che poi scompare, letteralmente. E no, non è stato rapito dal mostro, semplicemente dimenticato da una regia addormentata.
Ma in fondo, mi sento di consigliarne la visione.
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