di Lillo Portera / fotografie di Giuseppe Vitariello
L’attenzione mediatica su Sinner si è riaccesa con il caso della Drag Queen Conchita Wurst, vincitrice a sorpresa degli “Eurovision Song Contest 2014” con il brano Rise like a Phoenix. Senza voler rintracciare a tutti i costi un talento particolare nella figura di Sinner (certo non è il classico cantautore), e pur riconoscendogli l’estro e la bravura, diciamo subito che la sua singolarità risiede soprattutto in quella beata, compiaciuta, disinvolta e militante frociaggine (usiamo il termine nella sua accezione più briosa e positiva) che, dietro l’apparente frivolezza fine a se stessa, rivela e urla un preciso messaggio sociale e politico: una scheccata salverà il mondo! (e ci sarebbe da scommetterci). Nella sua intrigante iper-gayezza più che macchiettistica, a tratti quasi fumettistica, il performer è fin troppo barocco ed esplicito, tanto da essersi guadagnato meritatamente l’appellativo, molto impegnativo, di “Lady Gago”. La composita iconografia di Sinner è uno shake che spazia dai damerini patinati di Pierre et Gilles ai leather-tender-bear di Tom of Finland, con richiami a James Bidgood e a Querelle de Brest: di tutto un po’ insomma, ma sempre in ossequio alle coordinate del raimbow-power; tuttavia, senza scomodare troppo i padri fondatori del “Pink Think”, potremmo più semplicemente ricondurre Sinner a quell’estetica del gaio indomito compresa tra le uniformi attillate dei Village People e gli short di lurex di Jake Shears (frontman degli Scissor Sister).
Oggi Sinner, con i suoi baffetti tutt’altro che duchampiani o daliniani, riesce a catalizzare l’attenzione, a stranire, suscitando reazioni che vanno dalla semplice ammirazione, alla risatina di sufficienza fino alla più netta riprovazione: lo scandalo, si sa, vale finché c’è chi si scandalizza. «Fino a trent’anni fa – ha dichiarato il cantante in una recente intervista – il panorama musicale era pieno di personaggi androgini. Basti menzionare Grace Jones, Pete Burns, David Bowie, Boy George, Marilyn, e in Italia i cantautori Ivan Cattaneo e Renato Zero.» Se ancora oggi c’è chi storce il naso di fronte a una mascolinità alternativa (rimodulata, femminilizzata, ibridata, comunque ridiscussa) vuol dire che forse di passi avanti non se ne sono fatti abbastanza; al di là del discorso strettamente musicale, figure come quelle di Sinner restano comunque “educative” in chiave antiomofobica. Online è visibile il trailer del “The Switch Control Tour”, dove il performer cita dichiaratamente la Madonna (Ciccone) assisa e, per non scontentare nessuno (sennò apriti cielo!), anche la nuova icona gay Lady Gaga. Il cosiddetto mondo gay difficilmente si lascerà affascinare da un siffatto modello (preso com’è a identificarsi con le Kylie Minogue, le Paole e le Chiare, e comunque con donne biologiche etero-orientate), e l’unico mercato cui Sinner può oggettivamente aspirare, e lo diciamo a ragion veduta, è quello strettamente eterosessuale femminile (con picchi nella fascia teen 12-17).Nel brano I’m a sinner (tratto dall’album MDNA) Madonna canta: «I’m a sinner, I’m a sinner, I like it that way…» Ecco, la poetica del nostro eccentrico e poliedrico Sinner sembra sintetizzata in questo jingle. In Sinner, come nell’epigono Osvaldo Supino, non c’è nessuna pretesa autorale, sebbene il talento non manchi affatto, ma solo una sana variopinta e liberatoria queer-kermesse a suon di borchie, lustrini, piercing, frustini, guepiere, latex, baffetti (ce li stavamo dimenticando!)… e tanto, tanto make-up!
Lillo Portera
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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 19 – Giugno 2014
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