“La comunità è per sua natura portatrice di bene“, Aristotele lo pensava con convinzione.
Già: “il bene comune”, l’uguaglianza, i pari diritti. E lo sviluppo, il dinamismo costruttivo, il panta rei che democraticissimamente permette il progresso, lo svecchiamento, il cambiamento verso nuove mete insieme individuali e collettive.
Ma… c’è un ma: Aristotele non conosceva Berlusconi, il botox, la chirurgia estetica, il capitalismo e “la società dello spettacolo” politico-mediatico. E forse sarebbe morto di crepacuore, se avesse visto coi suoi occhi l’inimmaginabile livello di utopia raggiunto dall’idea della polis greca, della natura rousseauniana, della comunità affettiva di Tonnies: umanità e mondi idilliaci, stracolmi di elementi positivi, di spinte partecipative al bene comune profuse democraticamente a tutti.
Puri anacronismi, insomma.
Perché oggi è l’era politica dei reucci distruttivi e manipolanti.
Oggi in Italia è la morte della comunità, del demos, della rivoluzione francese.
Oggi sorgono dal suo ventre caldo di industrie e televisioni poderose forze con effetti negativi sugli individui e sulla stessa comunità: elementi dirompenti in grado di distruggere le sue stesse risorse e categorie valoriali. Elementi che minacciano, indeboliscono e perfino distruggono un popolo, una nazione.
Oggi è il trionfo dell’Anticomunità, di tutto ciò che dall’alto impedisce il cambiamento e difende staticamente gli equilibri preesistenti.
Oggi siamo ammorbati da un’influenza limacciosa, una peste invisibile che si fonda sulla paralisi della critica. Ci vogliono società statica, senza opposizione, in cui tutto, come diceva Marcuse, è a una sola, unica, dimensione unidirezionale: il pensiero, la filosofia, il lavoro, gli studi, le malattie, i valori.
Oggi, ancora, siamo (anti)italiani obbligati (consciamente e inconsciamente) ad ancorarci al poco che abbiamo, spesso manipolati per remare contro noi stessi e qualsiasi cambiamento.
E su di noi, su tutti, c’è lui: il grande burattinaio di questa scia perversa che ci infetta da decenni, il sultano-simbolo di questo spirito melmoso ed anticomunitario: Silvio Berlusconi. Lui, che con le sue mani in pasta ovunque, lui che con la sua industria dell’illecito, lui che con i suoi mi(ni)steri… ci propina da 16 anni l’idea di un progresso sempre più identificato col Dio Picciolo, e ci rende schiavi di quello che Marx chiamava “il dominio sugli uomini da parte della morta materia”.
Tutto, a partire da lui (e da chi ne fa/ne ha fatto le veci), è merce da barattare utilitaristicamente per il proprio scopo egoistico; tutto, anche la dignità, e “mors tua vita mea” semper, amen.
Lui, novello Dorian Gray abbarbicato dietro i letti di Putin; lui, restio a qualsiasi riforma che non sia atta a proteggere i suoi innumerevoli scettri; lui, ideologicamente venduto ad una stasi che ci fa credere di combattere; lui e sempre lui, attaccato alla giovinezza, alle minorenni, ai trapianti di capelli finti; lui, che teme di togliersi dai coglioni, di sparire… pover’uomo.
Lui è la nostra Ombra junghiana, è tutto “quel che di noi non può essere risolto in valore collettivo, che si oppone ad a ogni valore universale“: tutto ciò che l’Italia accumula sotto il suo letto tricolore da generazioni, tutti i suoi aspetti repressi, inconsci, socialmente disdicevoli e inaccettabili che remano contro la convivenza, la partecipazione e il cambiamento costruttivo.
Lui è Colui che è l’Anticomunità fatta carne: insieme padrone e rovina dell’Italia e degli italiani, portatore di uno status quo che difende con le unghie e le dentiere; lui che continua a rifiutare il giudizio, infangando chi giudica, invocando la rivoluzione della magistratura corrotta, quando la vera rivoluzione sarebbe che Egli si rimettesse alla giustizia e ci consentisse di andare avanti.
Lui, “uomo posseduto dalla propria Ombra che inciampa costantemente nei suoi errori“, che rifiuta di dialogare con gli aspetti più oscuri della propria identità (a meno che non ci siano vulve gnocche di mezzo). Lui, che nega l’esistenza di tutto ciò che non gli garba e che produce letame per poi proiettarlo sugli altri, fuori da sé, creando il NEMICO ESTERNO, il capro espiatorio, i magistrati comunisti, i pregiudizi, le etichette politiche, i postriboli telegiornalistici, Gad Lerner e Marco Travaglio.
Lui, che è il precipitato umano di tutto ciò che è altro dalla comunità, e che sta rendendo l’Italia tutto ciò che è altro da sé, ma uguale a lui.
Ora che Carmen, Orsola e Giulia ti inseguono come Caronte sullo Stige, tu guarda dentro di te! Gli attacchi, i nemici, i Santoro sono dentro il tuo cervello da vecchio imprenditore arraffone e paranoico: sono le tue matrici sature di pensiero, quelle che ti impediscono di riflettere al di là di come fottere chiunque non ti vada a genio, non te la dia o non ti lecchi il culo. Tu che ci hai lasciato una “Serva Italia di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello”, proprio come piace a te, ma priva di faccia da spendere nel mondo e tra noi stessi.
Tu che non vedi che la società democratica non è rifiuto del nuovo, non è stasi, non è convenienza sfrontata dei pochi, né annullamento delle differenze, scissione dell’Italia, smembramento di cervelli pensanti… Tu, che non vedi che la democrazia non è solo politica e soldi, che non è solo Silvio Berlusconi, che non è solo individui mediocremente, berlusconisticamente ripiegati sul proprio enorme ego da narciso impazzito per le rughe dell‘età.
Pentiti, o Silvio! Ravvediti, comprendi che la democrazia non è solo un meccanismo economico, ma un habitus personale, un modo di essere e di partecipare fondato NON sul doppiopetto blu del PdL, ma sulla condivisione e sull‘umiltà di apprendere, di fare il bene dell’altro e di mollare l‘osso di una leadership che se è verticistica, sultanistica, da monarca legibus solutus NON E‘ DEMOCRAZIA.
Forse, Silvio, ti sfugge che l’anima dell’individualismo democratico non si oppone all’anima comunitaria; la tua invece SI.
Forse i tuoi Goebbels non ti hanno ben spiegato che tu sei ciò che NON ci serve; anzi: sei tutto ciò che ci serve superare per andare avanti, per elaborare il lutto di ciò che è successo al nostro paese, per smettere di bruciare da dentro come cittadini ed essere proiettati verso il futuro ed imparare da questo, da tutto ciò che ci hai fatto tu, che sei l’aggregato fatiscente dell’AntiItalia AntiComunitaria di ognuno di noi, di questa nazione morente: la sua peste, la sua ombra distorta, la sua psicopatologia egosintonica.
Oh AntiRe della migliore AntiItalia! Ci lascerai mai riprendere un potere che proviene dal basso, da noi stessi, dalle nostre genuine idee condivise, dalla cultura della civiltà, del benessere condiviso? Ci lascerai ricostruire una politica che è cura insieme della polis e di noi stessi, ovvero tutto ciò che è altro da te?
Ad oggi, purtroppo, Utopia è ancora lì, accanto all’isola che non c’è.
“E tu, Stato
che tu sia ministro, politico o magistrato
ci avete castigato
mettendoci di fronte
ad una tragedia inaspettata e sconvolgente
e noi che lo vediamo
come vi agitate per far pagare a noi
quarant’anni di cazzate.
Ma la sola vera riforma delle istituzioni
è che ve ne andiate tutti fuori dai coglioni.” (G. Gaber)