Sipario calato sullo sciopero generale? C’è chi ha interpretato la recente presa di posizione di Susanna Camusso sul tema, appunto, dello sciopero generale, come una specie di risposta a chi chiede al sindacato di innovare e cambiare. Lei, a dire il vero, non ha recitato alcun addio.
Ha soltanto spiegato, anche per quanti nello stesso sindacato vedono in tale forma di lotta un evento taumaturgico, che la crisi in atto spinge alla ricerca di forme diverse di protesta e di proposta. Con lo scopo di far partecipare davvero all’iniziativa sindacale la gran parte del mondo del lavoro e non una minoranza. Tenendo conto che in questa maggioranza ci sono lavoratori in cassa integrazione, lavoratori che hanno visto chiudere o fuggire le loro aziende, per non parlare dell’esercito dei giovani precari. Tutta gente che guarda con amarezza all’idea di uno sciopero. Loro son già costretti dalla cattiva politica a un’astensione dal lavoro.
Tali ragionamenti non significano la volontà di affrontare la crisi subendo una specie di «pace sociale». Lo testimoniano le mobilitazioni unitarie in atto in tante regioni, l’imminente sciopero degli edili, quello annunciato nel trasporto locale. Mentre i metalmeccanici della Fiom stanno dispiegando a Roma una manifestazione non tradizionale a bordo di camper.
Certo c’è stato un tempo in cui la proclamazione di uno sciopero generale faceva cadere i governi. È possibile cominciare dallo sciopero generale di Genova che nel dicembre del 1900 contribuì alla crisi del governo Saracco. Per arrivare a quello del luglio 1970 che provocò la caduta del governo Rumor. Erano scelte di lotta che non capeggiavano la disperazione sociale. Semmai lottavano contro il tentativo di far pagare ai lavoratori le modernizzazioni.
Lo scenario di oggi è ben diverso e bisognerebbe studiare forme di lotta anche attraverso l’etere. Ne ha parlato uno studioso come Patrizio Di Nicola, in un recente seminario della funzione pubblica Cgil. Oggi Internet permette non tanto lo sciopero virtuale, bensì iniziative capaci di incrementare la democrazia interna, di collegare lavoratori di nazioni diverse, di operare inediti conflitti. È stato portato l’esempio dell’«Ibm strike». Nel 2007, una staffetta di oltre 1800 manifestanti di 30 Paesi muniti di «avatar» (le controfigure delle persone) bloccarono spazi dell’Ibm. Un esempio su cui riflettere per un sindacato che vuol cambiare senza svendere i diritti dei lavoratori.