Posted 6 maggio 2013 in Siria with 0 Comments
di Matteo Zola
Un atto di guerra, così le autorità siriane hanno definito il duplice raid aereo israeliano: “L’invasore israeliano ha compiuto una palese aggressione contro la Siria sganciando missili contro una base militare siriana”. Secondo il governo di Tel Aviv il doppio bombardamento, avvenuto tra il 4 e il 5 maggio, aveva invece come obiettivo hezbollah e le sue scorte missilistiche: “La politica dello Stato di Israele è che certi tipi di armi non devono arrivare nelle mani dei terroristi, è una politica importante, essenziale e deve essere perseguita” ha dichiarato il ministro degli Esteri israeliano.
Insomma, per Tel Aviv si tratta di “garantire la sicurezza di Israele” mentre per Damasco di un “atto di guerra”. Le due cose, a ben vedere, non si escludono poiché la difesa di Israele si compie, il più delle volte, attraverso aggressioni esterne. Il regime siriano, ormai al collasso, non può opporre alcuna resistenza e – senza in alcun modo voler prendere le parti di Damasco- sorprende come questo duplice attacco sia avvenuto senza che Israele si accordasse, non già con la comunità internazionale, ma nemmeno con gli Stati Uniti. Israele dimostra ancora una volta la sua autonomia militare e gli Stati Uniti segnano il passo, accettando quanto avvenuto per non perdere la faccia. Così quando a Washington si è appresa la notizia ci si è affrettati a sostenere l’iniziativa israeliana. In fondo quei missili sono di provenienza iraniana e Teheran (unico alleato della Siria e finanziatore di hezbollah) è nemico giurato di Washington. Ma nella relazione tra Israele e Stati Uniti, sono questi ultimi a sembrare ormai il socio debole.
La reazione iraniana è stata dura e il ministero degli Esteri di Teheran ha invitato tutti i paesi della regione a rimanere uniti a levarsi contro Israele: “Il motivo principale dietro la crisi in Siria è di voler minare il potere della resistenza regionale” – ha dichiarato il presidente del parlamento iraniano. E come dargli torto: se il regime siriano di al-Assad crolla, anche quello iraniano si troverà in una posizione di estrema debolezza.
Anche l’Egitto si schiera contro l’attacco, pur ribadendo la sua ostilità ad al-Assad: “l’aggressione israeliana contro la Siria e i territori di uno stato arabo sovrano è da condannarsi” ma l’Egitto, che si è schierato contro la sanguinosa repressione di Bashar al Assad, “non cambierà linea”.
L’atteggiamento americano è attendista: il veto russo e cinese all’intervento militare impedisce qualsiasi azione che veda unita la comunità internazionale. Gli Stati Uniti potrebbero fare come già in Serbia nel 1999, aggirando (e deligittimando) l’Onu e consegnando le operazioni al comando Nato. Ma il ginepraio siriano è troppo intricato e l’amministrazione Obama non ha nessuna voglia di metterci le mani, meglio lasciar fare a Israele in attesa che la situazione si chiarisca.
Così l’esercito israeliano ha deciso di dispiegare due batterie antimissile nel nord del paese, nella zona di Haifa e in quella di Safed, mettendo la Siria in una situazione ambigua: se da una parte non rispondendo agli attacchi israeliani mostrerà la sua debolezza, dall’altra con un tentativo di riposta si troverebbe costretta a combattere su due fronti, contro le forze di opposizione interna e contro la temibile macchina da guerra israeliana.
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