Dopo le intercettazioni dei servizi segreti americani, la posizione del regime di Assad in merito all’uso di armi chimiche sarebbe ormai quasi certa. Gli Usa condannano il governo di Damasco, mentre una risoluzione pratica pare diventare sempre più probabile nelle prossime ore.
Stando ad alcune indiscrezioni trapelate dal Washington Post, i servizi segreti a stelle e strisce dovrebbero divulgare le prove della complicità del regime già nella giornata di oggi.
Sono ore di duro lavoro presso l’Office della Direzione Nazionale d’Intellingence negli Stati Uniti; ore che serviranno a dischiudere la strada ad una soluzione politica piuttosto che ad un intervento militare. La scelta spetterà allora al Presidente Barack Obama.
L’attesa non sarebbe tuttavia dovuta soltanto dal bisogno di ottenere prove certe, così da fugare ogni eventuale dubbio sulla complicità del regime, ma anche per dar tempo ad una consultazione col Congresso e i partner internazionali che prenderanno attivamente parte alle operazioni. Ora come ora gli ispettori delle Nazioni Unite stanno agendo, e i vari Paesi osservano con attenzione il loro lavoro. Si dovrà garantire la loro incolumità in un territorio piegato da lotte fratricide e atti di terrorismo. Gli ispettori, infatti, sono giunti in Siria già lunedì, con l’idea di restare sul posto ad effettuare i dovuti rilevamenti per almeno quattro giorni: a causa di alcuni eventi che ne avrebbero compromesso la sicurezza, sono stati costretti a rimandare le operazioni al giorno successivo.
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La preoccupazione è alta, ha spiegato un funzionario: «Siamo preoccupati per la possibilità che il governo siriano possa cercare di rinviare l’accesso e negoziare in modo da prolungare il processo ed evitare conseguenze». La strategia del rinvio è già stata del resto tenuta in conto dalle Nazioni Unite.
Temporeggiare servirebbe infatti al regime di Assad per rimuovere le prove che lo implicherebbero nell’attentato.
I dubbi sul piano internazionale, tuttavia, restano sempre forti. Non tanto sull’uso effettivo di armi chimiche, quanto, invece, sul perché il regime siriano abbia così tanto voluto finire al centro della cronaca. L’infrazione di un protocollo internazionale avrebbe inevitabilmente condotto la Siria all’attenzione del mondo. Sebbene il presidente americano si interroghi tuttora sulla questione, mette da parte l’eventualità che l’attentato possa essere stato messo in atto dai ribelli. «È un’operazione militare del regime» avrebbe infatti detto.
Una telefonata in cui un funzionario della difesa siriana si rivolge ad un leader dell’unità siriana armi chimiche, chiedendo del bilancio delle vittime e della ragione dell’attacco al sarin colpito, sarebbe l’elemento discriminante della questione a Damasco. Su questa linea, dunque, il Foreign Policy (che ha pubblicato le intercettazioni) afferma che «gli attacchi sono opera del regime di Bashar al-Assad».
La soluzione di un intervento militare per punire il regime siriano si fa sempre più concreta. L’America parla già di tre giorni di raid sui siti strategici. Raid “chirurgici” che andrebbero a colpire soltanto i pilastri portanti della dittatura di Assad. «Siamo in attesa di un mandato dell’Onu» ha spiegato la Casa Bianca, anche se in verità non è lo stesso per l’Italia, dove il Ministro degli Esteri, Emma Bonino, ha voluto sottolineare come al di là del mandato dell’Onu non ci sia nulla di automatico. In Italia, infatti, l’eventualità di un attacco sarà preventivamente discussa in Parlamento.
Articolo di Stefano Boscolo