Finora, sono stati i pianeti extrasolari osservati attorno alle stelle di campo a far parlare di sé. Negli oltre 2000 pianeti confermati in 1300 sistemi planetari, solo una manciata sono i pianeti scoperti in orbita attorno a stelle appartenenti ad ammassi aperti. C’è un vantaggio nello studio di questo tipo di stelle rispetto a quelle di campo: trovandosi le stelle di un ammasso tutte alla stessa distanza da noi, ed essendo nate assieme dalla stessa nube molecolare (con la stessa età e composizione chimica quindi), è più facile stimarne la massa, il raggio e gli altri parametri fisici. Ciò si riflette in una più precisa determinazione dei parametri dei loro pianeti. Per questo motivo, un tale ambiente rappresenta un “laboratorio” ideale dove studiare la relazione tra proprietà fisiche dei pianeti e delle loro stelle ospiti e per comprendere l’evoluzione stessa dei sistemi planetari.
Una rappresentazione artistica del pianeta più interno Pr0211b, uno hot Jupiter con un periodo orbitale di 2 giorni. Nell’immagine l’artista ha rappresentato un possibile sfondo stellare estremamente denso tipico di un ammasso aperto. Il pianeta scoperto Pr0211c non è rappresentabile in scala perché, avendo esso un periodo di almeno 9 anni, sarebbe necessario disegnarlo a diversi metri di distanza dal primo. Crediti: NASA/JPL-Caltech
È iniziata quindi una campagna osservativa di alcune decine di stelle appartenenti agli ammassi M44 (Presepe), Iadi e NGC752, da parte di un gruppo di astronomi del programma GAPS-Global Architecture of Planetary Systems, di cui fa parte il primo autore di questa nuova ricerca, Luca Malavolta dell’Università degli Studi di Padova, associato INAF, e facente parte del team di ETAearth, progetto di collaborazione Europeo (7° Programma Quadro) per la caratterizzazione di sistemi planetari di tipo terrestre. Con lo spettrometro HARPS-N al Telescopio Nazionale Galileo (TNG, Isole Canarie), altrimenti noto come “il cacciatore di pianeti” per la precisione delle sue misure, e con i dati raccolti da un altro spettrometro, lo statunitense TRES, il team è stato in grado di scoprire il primo sistema planetario multiplo in un ammasso aperto. Si tratta di Pr0211 in M44, o Ammasso del Presepe (detto anche Alveare) nella costellazione del Cancro, a circa 600 anni luce da noi. Il nuovo pianeta scoperto è di circa 8 masse gioviane con un periodo di almeno 9 anni; l’altro membro del sistema planetario osservato, già noto dal 2012, è di circa 2 masse gioviane con un periodo di rivoluzione di poco più di 2 giorni.
Pur essendo, almeno intuitivamente, ambienti poco “adatti” alla ricerca di sistemi planetari stabili in quanto l’alta densità stellare induce sicuramente molte interazioni tra i corpi celesti presenti, è vero anche che, per gli astronomi impegnati in questo campo, è fondamentale effettuare osservazioni su stelle i cui parametri (come la composizione chimica, l’età e la massa) hanno valori simili e ben determinati. Questo, infatti, permette di caratterizzare al meglio i pianeti attorno a esse individuando quali proprietà siano più comuni di altre e fornendoci indizi importanti per comprendere i processi di formazione ed evoluzione dei sistemi planetari. Inoltre, le stelle in questi ammassi sono giovani e quindi molto attive e, per questo, solitamente escluse dallo studio delle velocità radiali per il quale vengono privilegiate stelle più vecchie, meno attive e più facili da analizzare. E’ quindi molto importante raccogliere più dati possibile per superare gli effetti di selezione delle osservazioni, e poter iniziare a studiare, su una buona base statistica, la relazione tra pianeti e ambiente dove essi si formano e poi evolvono. In tali ambienti, densi di stelle, è lecito supporre che i processi di formazione ed evoluzione siano diversi da altri ambienti, ma è anche vero che, sebbene non si sappia con certezza, anche il nostro Sole potrebbe essersi formato in un ammasso aperto.
Venendo al sistema osservato, Pr0211, esso ha una configurazione che solleva diverse questioni ancora aperte: come mai si osservano così frequentemente gli hot Jupiter, cioè pianeti massicci orbitanti molto vicini alla loro stella, e perché il compagno esterno ha un’orbita così eccentrica? Una delle teorie, detta di planet scattering, prevede che questi pianeti si formino a grande distanza dalla loro stella e che si spostino su orbite più interne a causa d’interazioni gravitazionali con altri pianeti nel sistema. A seguito delle interazioni dinamiche i loro eventuali compagni dovrebbero disporsi su orbite a lungo periodo e molto eccentriche, come nel caso del neo-scoperto Pr0211c. Una teoria alternativa di formazione prevede che i pianeti giganti migrino verso la stella madre mentre sono ancora immersi nel disco proto-planetario, che però avrebbe anche l’effetto di smorzare le interazioni tra pianeti disponendoli quindi su orbite circolari. La scoperta di Pr0211c è la pistola fumante che il sistema abbia subito una fase di planet scattering, insieme a una ristretta schiera di altri pianeti con caratteristiche simili. “Un altro punto ancora dibattuto nella comunità scientifica”, dice il primo autore dell’articolo Luca Malavolta, “è se queste interazioni tra pianeti siano frutto d’instabilità primordiale del sistema, o se siano invece conseguenza dell’incontro ravvicinato del sistema planetario con un’altra stella. In un ammasso le stelle sono molto più vicine tra di loro e gli incontri stellari sono molto più frequenti che per stelle di campo. Se quindi fosse vera la seconda ipotesi dovremmo osservare molti più sistemi come Pr0211 negli ammassi che in stelle di campo. Riuscire a chiarire questo punto sarebbe un bel traguardo per la scienza della formazione planetaria e per questo sono necessarie ancora molte osservazioni ma la strada intrapresa da GAPS sta, come in questo caso, già portando i suoi frutti.”
Il programma osservativo GAPS si è confermato vincente anche questa volta per due motivi in particolare. Il primo è che in GAPS si coordinano molti astronomi che hanno sì lo scopo comune di caratterizzare gli esopianeti, ma che provengono da campi diversi: da chi va a caccia di sistemi planetari attorno a stelle vecchie a chi, come in questo caso, si concentra su ambienti dove le stelle sono molto giovani. Questo apporta molta linfa vitale al dibattito scientifico all’interno del gruppo. Il secondo motivo è più pratico, ma altrettanto importante: grazie al cospicuo tempo osservativo a disposizione del programma e quindi all’ampia flessibilità della schedula, è possibile, per esempio, osservare le stesse stelle per una settimana di seguito anche per 2 o 3 mesi dentro un semestre.
Nel lavoro qui presentato quest’aspetto è stato fondamentale perché le stelle attive richiedono osservazioni continue per stabilire con certezza se le variazioni di velocità radiale siano dovute alla presenza dei pianeti piuttosto che all’attività stessa della stella. “Sulla base dei dati raccolti, si può affermare che tra i due pianeti gioviani non ci sono ulteriori pianeti.” Conclude Giampaolo Piotto, astronomo ordinario dell’Università degli Studi di Padova e coautore di questo lavoro. “Tra gli obiettivi futuri ci sono anche la ricerca e lo studio, negli ammassi aperti, di pianeti di massa più piccola per capire quanto tali sistemi planetari siano differenti dai pianeti attorno a stelle di campo.” E la ricerca, come sempre, continua!
Per saperne di più:
- leggi l’articolo The GAPS programme with HARPS-N at TNG XI. Pr~0211 in M~44: the first multi-planet system in an open cluster di L. Malavolta et al., accettato per la pubblicazione sulla rivista Astronomy&Astrophysics
Fonte: Media INAF | Scritto da Redazione Media Inaf