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Entro di corsa in farmacia, è tardi, ho fretta, mi serve tanto di tutto per farmi passare ansia e mal di testa. L'aria condizionata e l'odore di chimica farmaceutica, qualche ascella pezzata, un insofferente in coda con lo spippolo telefonico, un bambino che strilla in braccio alla mamma, la tizia davanti a me con il tatuaggio di un drago tra le scapole, l'aria flemmatica del farmacista: Italia.
L'Italia il Paese che tenta invano di auto disciplinarsi attraverso cartelli minacciosi: si prega di attendere il vostro turno prima della striscia gialla. Sennò? Mi verrebbe da dire. E per terra, sul lineolum lucido e grigiastro, la striscia gialla che indica il limite, se lo oltrepassi non rispetti la privacy. In Norvegia quel limite non è disegnato per terra, ma è impresso nell'educazione di ogni persona, dal bambino alle persone come me, ansiose, col respiro corto e il mal di testa. Mi metto in coda fissando il drago verde e rosso adagiato tra le scapole della signora davanti a me. Lo osservo nella speranza che prima o poi spicchi il volo ed esca fuori per respirare un po' d'aria che non sappia di pelle, di pori, di scapole sudaticce. Lui, a sua volta, mi guarda minaccioso, indugia nel miei pensieri, e poi scappa distogliendo lo sguardo. Le tenebre fanno paura anche a te, eh, creaturina verde e viscidina?
La signora in canottiera ed il suo drago, escono. Tocca a me, finalmente, sono qui dentro da un anno ormai, so tutto di quel bambino che strilla, so dei suoi denti, dei suoi piedi che non sopportano quelle orrende scarpette lucide, del suo biberon riempito di un liquido torbido, disgustoso, sembra rancido, la piscina dello staphylococcus, o un brodo primordiale nel quale fare nascere ed evolvere draghi che poi voleranno fino ad andare a stamparsi sulle scapole di una quarantenne in canottiera. So tutto dello spippolatore folle, e della sua suoneria di whatsapp, dei suoi messaggini insulsi scritti in tre secondi, mentre l'indice della mano sinistra sta dentro la narice destra, poi alza lo sguardo, mi vede, e fa finta di grattarsi i baffi. Conosco alle perfezione quel tipo che odora di sudore stantio, con la camicia di lino blu, mezza manica, pezzata, anzi, pezzatissima, con la sua borsetta a tracolla, piena di ciondolini tintinnanti, al polso filacci e filaccini, cordoni di pelle intrecciati a peli neri, anelli argentati, catene multiple con crocifissi e simboli non identificabili sbucano dal colletto della camicia. L'aria è da dopobarba, l'argomento che tira fuori per intrattenermi mentre sono in coda, invece, è una barba.
Tocca a me. Un alito dietro al collo, mi giro indispettita, faccio gli occhiacci, e dico qualcosa di orrendo, che dopo tre anni di vita norvegese non credevo mai di poter dire: "Scusi, non l'ha letto il cartello? Non ha visto la striscia gialla per terra?". Il farmacista mi guarda e alza le spalle, la signorina dietro di me fa mezzo passo indietro ma rimane sempre davanti alla striscia gialla.
Buongiorno, dica.
La striscia gialla che delimita il confine tra libertà personale e altrui, è comunque troppo vicina al banco. Immagino il farmacista in persona, carponi, mentre appiccica il nastro adesivo giallo per terra, magari calcolando i metri stabiliti da una regola, scritta da un miope/sordo che non vede e non sente neanche a distanza di un metro. Dal confine al banco non è difficile ascoltare ciò che viene detto, né vedere ciò che viene fatto mentre si apre il portafoglio; con quale carta si paga, il santino di San Gennaro vicino alla patente, la tessera punti dell'Esselunga..insomma, i cazzi di altri.
Signora...dica pure.
Rimetto la prescrizione medica dentro la borsa, infilo la mano nella tasca dei pantaloni ricordando di avere qualche spicciolo, distinguo almeno quattro euro. Penso alla cosa più anonima ed economica che si possa comprare in farmacia, e senza alzare troppo la voce, ma scandendo ogni sillaba, con perfetta e chiara dizione, dico: "SOLUZIONE FISIOLOGICA, 250ml. Grazie".
Passo davanti alla signorina ficcanaso che non rispetta le regole, con l'aria di chi ha vinto la guerra fredda. Esco, butto via il flacone d'acqua nel primo cestino che trovo.
In fondo, l'ansia si può curare in tanti altri modi.
Quando mi chiedesti quale fosse la mia canzone preferita, io ti guardai male, è vero. Che razza di domanda facesti! Io che la musica la studio, la squarto, la analizzo, cellula per cellula. Così come faccio col cinema, o con tutto ciò che riempie la mia misera vita. Domanda a cui non so rispondere, non esiste una sola canzone meglio di tutte le altre, non esiste un genere, né un momento storico. Però eri dolce nel pormela, l'ingenuità di chi non sa, non conosce la mole di tempo dedicato ad una passione. Tempo perso per la ricerca, per godere della gioia della scoperta, di una strofa, di un momento di idilliaco piacere, cercato e trovato non in una, né in dieci, né in mille brani, ma all'interno di un infinito universo di note e ritmo. Mentre annaspavo tentando di darti una risposta che potesse contenere il senso del mio ragionamento, tu, molto semplicemente, mi dicesti "la mienne est Fly Me To The Moon". Semplicemente, in quell'istante, hai distrutto la mia complessità.
Allora non ti dissi che non importa conoscere tutto il cielo per imparare a volare.
Non lo feci perché l'ho capito adesso.
Scusami.
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