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Sistemi human inside

Da Andreachiarelli

CrowdIn principio era l’uomo che eseguiva attività ripetitive e molto noiose. Un giorno qualcuno ideò un marchingegno per eseguire queste attività al posto suo, ma molto più velocemente, e lo chiamò computer. E vide che era cosa buona e giusta.
Messo al lavoro questo strano oggetto, l’uomo ebbe molto più tempo libero, a parte quando il marchingegno si inceppava o aveva bisogno di aggiornamenti e manutenzione, ma questa è un’altra storia.
L’uomo trascorreva il conquistato tempo libero navigando su siti Web, chattando su Facebook e cinguettando su Twitter, mentre il computer lavorava al posto suo.
Ma c’erano dei compiti che il computer non era in grado di eseguire bene come l’uomo. Allora qualcun altro pensò di creare un sistema che sfruttasse il lavorìo di quei milioni di sfaticati su Internet per risolvere il problema. Nacque così una macchina che utilizzava l’uomo per risolvere quelle attività ripetitive e noiose che la macchina non era in grado di fare.

La storiella può sembrare un paradosso: l’uomo che usa una macchina che a sua volta sfrutta l’uomo per eseguire compiti che la macchina non è in grado di fare. Ma in realtà c’è un fondo di verità. L’esistenza, cioè, di sistemi il cui motore interno non è basato su una elaborazione automatica, ma sull’attività umana. Giusto per fare qualche esempio, reCaptcha è uno di questi: milioni di utenti Web intenti ad inserire codici anti-spam hanno dato inconsapevolmente un enorme contributo alla digitalizzazione di testi antichi.
Ora c’è anche chi sta pensando di sfruttare Twitter come sistema di notifica di eventi critici, come terremoti, fenomeni atmosferici o fluttuazioni di borsa.

Insomma sistemi con un motore umano. Sistemi human inside. La tecnologia ritorna all’uomo.


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