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Skepto Film Fest: intervista al film-maker sardo Andrea Mura

Creato il 25 aprile 2015 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Nella sesta edizione dello Skepto Film Festival c’è stata gloria anche per Andrea Mura, cineasta di casa il cui lavoro, Ladiri, ha ottenuto la Menzione Speciale Sostenibilità Ambientale. Ne siamo contenti anche noi, poiché il cortometraggio documentario del film-maker sardo ci ha permesso di scoprire, in pochi minuti, una realtà dal fascino atavico come quella delle costruzioni tradizionali in terra cruda. E lo ha fatto proponendo uno sguardo antropologico acuto, di indubbia profondità, su quella fascia di popolazione più anziana che nel Medio Campidano custodisce i segreti di tale attività, provando anche a tramandarli, seppur con qualche difficoltà, alle nuove generazioni. Di questo e di altro ancora abbiamo parlato con lo stesso Mura, che oltre ad aver sfornato una buona opera ci è parso sinceramente appassionato all’oggetto della sua ricerca.

Penso che possa essere utile raccontare innanzitutto la genesi di questo lavoro: perché ti sei interessato a questa forma di costruzione così particolare, tradizionale? Da che progetto è nata tale esperienza?

In pratica io conoscevo le case in terra cruda perché qui, soprattutto nel sud e nel centro della Sardegna, sono molto diffuse. Si contano più di centomila abitazioni in terra cruda. È una tipologia costruttiva tradizionale. Però non avevo mai pensato di farci un cortometraggio sopra. L’occasione è stata quella di un concorso video, promosso dall’Associazione Nazionale Città della Terra Cruda, che ha sede a Samassi e raggruppa 40 comuni in tutta Italia, dal Piemonte alla Sicilia, alla Basilicata, alla Sardegna. E quindi questo concorso prevedeva la realizzazione di un cortometraggio di massimo 10 minuti, che poteva essere sia fiction che documentario che animazione, senza limiti di genere, ma che avesse come tematica centrale la terra cruda. Così mi sono lanciato in questa avventura con mezzi un po’ di fortuna, assolutamente no budget, perché lo scopo era partecipare al concorso senza però avere una produzione dietro. Per questo mi sono recato con l’aiuto regia, che è Veronica Sanna, in queste località del Medio Campidano, ovvero Serrenti, Gonnosfanadiga e Samassi, che sono tutti piccoli paesi, per cercare degli anziani che mi raccontassero qualcosa circa questo tipo di abitazione. L’idea cardine del film è quella di interrogare, intervistare le persone ultra-ottantenni perché, a mio parere, sono quelle che ancora riescono a raccontare, che hanno questa capacità retorica di tenere viva l’attenzione dell’ascoltatore. Sicché ho trovato lì sei anziani, alcuni dei quali ex muratori, che mi hanno spiegato come costruivano le case, ma anche quali erano la peculiarità di tali abitazioni sia dal punto di vista costruttivo che da quello dell’efficienza energetica, della salubrità. E poi ho intervistato altre persone che semplicemente ci abitavano in queste case. Da ciò sono venuti fuori nel documentario quei siparietti a volte abbastanza comici, talvolta più meditativi.

Quindi sono tutti incontri che hanno avuto luogo nei paesini della Sardegna che hai menzionato prima? E cosa ti ha guidato nella scelta dei luoghi?

Sì, come dicevo in precedenza sono Samassi, Gonnosfanadiga e Serrenti, paesi del Medio Campidano in cui è alquanto diffusa la tipologia costruttiva tradizionale, appunto, che però rischia un po’ l’estinzione, pur essendoci un numero talmente alto di case in terra cruda: sono più di centomila. Tuttavia, giusto per farti un esempio, quando sono andato a girare ho trovato alcune costruzioni che ho voluto subito filmare, ma dopo cinque mesi sono tornato in quei posti e certe case enormi, fatte in terra cruda, già non c’erano più. Al loro posto erano state costruite delle palazzine, perciò dove prima c’era una casa grande in terra potevi adesso trovare un palazzo di cemento che ospita magari cinque appartamenti.

LADIRI di Andrea Mura

Ecco, ma sta sparendo quindi anche una competenza specifica? Perché mi ricordo, dal tuo corto, che almeno uno dei personaggi intervistati si lamentava del fatto che lui vorrebbe insegnare questa tecnica di costruzione alle nuove generazioni, ma fa grossa fatica a trovare allievi…

Beh, ci sono ancora diversi anziani costruttori, poi studiando l’argomento ho scoperto che all’Università di Cagliari c’è anche una cattedra di Architettura dedicata proprio alla terra cruda, tenuta dalla Professoressa Maddalena Achenza, che si occupa di insegnare questa specializzazione ai suoi giovani studenti. Paradossalmente, pur essendo questa tipologia abitativa molto semplice da realizzare e a chilometro zero, visto che in teoria la stessa terra che prendi alle fondamenta per edificare la casa puoi utilizzarla per farci poi i muri, portando avanti così un discorso low budget e al contempo ecologicamente sostenibile, sta diventando al pari di altre cose semplici e naturali appannaggio di una elite, di chi può permettersi di costruire una casa in terra. Tutto ciò proprio perché, essendo sparite un po’ le maestranze e chi sa fare queste cose, a compiere i lavori sono rimaste poche persone che chiedono lauti compensi. Un po’ come accade per l’agricoltura biologica, dove un cibo che non viene trattato con alcun agente chimico tende a costarti più di quell’altro. Qualcosa del genere accade attualmente per la terra cruda. Poi c’è questo lodevole lavoro che sta facendo l’Associazione Nazionale Città della Terra Cruda, che adesso è diventata internazionale, tra l’altro, per cui si prevede che all’interno si inseriscano altri paesi di tutto il mondo: lo scopo è quello di salvaguardare e di valorizzare anche dal punto di vista turistico queste abitazioni. Adesso per esempio ci sono parecchi esempi di ospitalità in B&B e in alberghi, che vengono ricavati da case in terra. Anche nel caso di turisti esigenti, che richiedono un’accoglienza particolare, sono delle esperienze da fare: consiglio anche a te, se ti capita, di restare a dormire dentro una casa in terra, così sentirai la differenza di qualità e di atmosfera che c’è al suo interno; sia dal punto di vista acustico, tant’è che sono posti ottimi per registrarci la musica, visti il tipo di riverbero e il fatto che come puoi facilmente immaginare la terra assorbe moltissimo le onde sonore, sia da un punto di vista propriamente salutare, per effetto del clima asciutto.

Mi sembra poi che nel presentare al pubblico questo piccolo film, tu abbia accennato a un altro progetto più ampio, che riguarderebbe un maggior numero di realtà. Se è così, in cosa consiste il progetto?

Sì, è così, dopo aver presentato Ladiri al concorso della Città della Terra Cruda e averlo vinto, questo concorso, ho pensato di rilanciare in qualche modo tale progetto, proponendo ai responsabili dell’associazione di fare una sorta di archivio audiovisivo di tutte le case in terra, in tutta Italia. Per il momento ci sono circa quaranta comuni da coinvolgere, ma il numero è in costante crescita. Abbiamo quindi proposto ai sindaci di tutti i singoli comuni di partecipare a questo progetto, con l’idea di fare un archivio collettivo di esperienze di vita all’interno delle case in terra. Il progetto è partito ormai da un anno, abbiamo girato sei comuni in varie parti della penisola, ma l’intenzione è ovviamente quella di farli tutti e quaranta, partendo dalla casa che è poi qualcosa di emblematico, un importante contenitore di storie, per raccontare così gli ultimi sessant’anni di vita contadina in Italia. Il pretesto è perciò quello di parlare della casa, di come si costruisce, di come ci si vive; poi però gli anziani, quando dai loro il la, cominciano a parlare di tante cose, dei periodi di guerra, di come si mangiava un tempo, trasformando l’argomento della casa in un contenitore decisamente più ampio.

Trovo che questo sia molto interessante, perché già dai tuoi precedenti interventi si intuiva una forte curiosità nei confronti delle vecchie generazioni, del loro stile di vita. Quello che dici l’ho già ritrovato in altri documentari e persino in ricerche universitarie sulla Resistenza, ad esempio. L’intervista degli ultimi testimoni diventa in casi come questo ancora più importante. Ecco, volevo chiederti proprio questo, se si tratta di una propensione nata in te proprio con l’ultimo lavoro o se avevi già realizzato lavori documentari oppure ricerche di altra natura, interessandoti magari alle testimonianze dei nonni, delle generazioni più anziane.

Sì, diciamo pure che è un po’ una mia caratteristica, quella di risultare in un certo senso gerontofilo, amante delle persone anziane. Nel senso che forse ero abituato sin da quando ero piccolo a trascorrere molto tempo con mia nonna, che mi raccontava le storie. Così, quando mi sono messo a fare documentari, ho sempre avuto l’esigenza di andare a cercare le storie, da chi le sapesse raccontare. Durante un altro lavoro da me fatto in precedenza, sulla pesca tradizionale in Sicilia, ho trovato quest’ultimo artigiano rimasto lì che aveva raccolto per cinquant’anni il modo di costruire le barche tradizionali; lui è un modellista, per cui le ricostruiva in perfetta scala 1:10, queste barche, sicché sono rimasto con lui per sei mesi a raccontare questa piccola realtà di pesca che, se non fosse per la sua raccolta, non avrebbe ora altre testimonianze, visto che ormai le barche sono andate distrutte. Poi ho fatto anche altri lavori sulla medicina tradizionale in Sardegna, nonché sul malocchio, su queste pratiche viste un po’ alla De Martino, in quanto tematiche da antropologia visuale che mi hanno portato a intervistare a lungo degli anziani; soprattutto anziane, in realtà, perché generalmente sono le donne a fare questo tipo di rituali magico-religiosi. Ho raccolto tantissime testimonianze che parlano di una realtà magica, terapeutica, ancora molto consistente in Sardegna.

Andrea Mura

E in questo percorso ti sei forse confrontato con altri registi che in Sardegna hanno come riferimento queste pratiche tradizionali? Insomma, hai qualche modello locale, c’è comunque qualche film-maker al cui lavoro ti sei accostato con interesse, oppure prosegui una strada del tutto tua?

Diciamo allora che pescando tra i documentaristi sardi mi è particolarmente piaciuto il lavoro di Fiorenzo Serra, soprattutto L’ultimo pugno di terra, documentario realizzato nella Sardegna del dopoguerra dove si fa una panoramica di come veniva affrontato, nell’isola, quel “piano di rinascita” che era stato impostato dopo la guerra quale piano economico, politico e culturale. Quindi lui aveva fatto per la Regione Sardegna un lavoro in cui documenta, quasi da antropologo, gli stili di vita di quegli anni. Ho particolarmente amato questo suo sguardo sulla realtà sarda. Per il resto guardo un po’ non solo alla produzione sarda, ma anche a quella nazionale e mondiale. Tra l’altro adesso ho la fortuna di curare la direzione artistica di un festival che si tiene a Palermo e a Treviso. Si chiama Sole Luna Festival e ogni anno ci arrivano più di 300 documentari da tutto il mondo, con tematiche di interculturalità, di rapporti culturali tra vari paesi. Tant’è che il sottotitolo del festival è “Sole Luna – un ponte tra le culture”. Quindi lì ho anche la possibilità per me molto arricchente, come film-maker, di confrontarmi con quello che si sta producendo a livello mondiale nel campo del documentario.

A parte la ricerca documentaria, hai avuto già esperienze nel campo della fiction o senti comunque di esserne attratto?

La mia formazione sta nel documentario. Io frequento il centro Sperimentale di Cinematografia a Palermo, ovvero la sede del Centro Sperimentale che si occupa proprio di formazione documentaristica. Poi mi è anche capitato, nel corso degli studi, di fare dei cortometraggi di finzione o di partecipare ai set dei miei colleghi come aiuto regista, oppure in altri ruoli. Però devo dire francamente che per il cortometraggio di finzione, o per la fiction in genere, attualmente non provo grande interesse, perché trovo che ci sia tanto da raccontare della realtà, privilegiando uno sguardo documentaristico. Ci sono in giro tante storie belle che aspettano solo di essere raccontate. E anche come sistema produttivo mi affascina di più il documentario, ritengo che ci sia più relazione tra le persone, più conoscenza, più arricchimento personale. Mentre nei corti o nei lunghi di finzione c’è una pesantezza un po’ industriale: devi stare lì a quell’orario, devi fare tot scene, devi avere a disposizione tutti i tecnici, tutti gli attori, trucco e parrucco per la data ora. Forse proprio per quanto riguarda la compatibilità col mio spirito è più adatto il documentario, mi diverto molto di più a farlo.

LADIRI di Andrea Mura-2

Un’ultima domanda te lo vorrei fare sul clima che hai trovato qui allo Skepto Film Festival. Il tuo corto documentario è stato inserito in una sezione molto particolare, che valorizza discorsi ambientali e di economia sostenibile. Volevo perciò chiederti sia come ti sei trovato in quanto a contatti con gli altri autori e atmosfera generale del festival, sia quale impressione ti sei fatto degli altri lavori, realizzati nelle forme più disparate, che sono stati selezionati assieme al tuo.

Innanzitutto sono molto felice che ci sia questo festival Skepto di cortometraggi che va dall’animazione al documentario, al videoclip, al corto di finzione. Essendo Cagliari la mia città di origine sono felice che ci sia un festival così energetico, giovane, stimolante, anche informale, perché a me è capitato di stare pure in festival grossi come Venezia e Locarno; però lì un po’si perde questa dimensione di prossimità con l’altro, il poter scambiare chiacchiere, idee. Anche in quel caso diventa un po’ una questione industriale, di produrre un evento i cui ingranaggi alla fine ti possono schiacciare. Lo Skepto Film Festival mi è sembrato invece molto spontaneo, un piccolo festival ma con una bella energia intorno, valido per incontrare persone, parlare, scambiare opinioni col pubblico quando è stato appena visto il mio documentario o dopo le proiezioni dei lavori altrui. Mi auguro pertanto che il festival vada avanti, cresca, perché penso sia un bel servizio che rende alla città di Cagliari. Per quanto riguarda i film che ho visto, sono stato una giornata intera a visionare corti, constatando un buon livello; di sperimentazione, dal punto di vista del linguaggio cinematografico, in quanto a tematiche che mi sono sembrate abbastanza valide e diversificate. Complessivamente il mio giudizio è quindi positivo.

Stefano Coccia


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