Following Fish. Dal più classico “fil rouge” alla sua variante ittica, ovvero il pesciolino rosso, quale possibile comun denominatore di alcune delle opere presentate quest’anno allo Skepto Film Festival, come a ribadire e a rafforzare la presenza di quelle immagini acquatiche, inserite qui a partire dal logo ufficiale della manifestazione. Curiosamente è proprio quel desiderio, naturale in molte persone, di offrire protezione a un pesciolino voluto come compagnia, il pretesto narrativo di ben due dei corti premiati a Cagliari; con uno sviluppo narrativo ed estetico diverso, ovviamente, sebbene in entrambi i casi capace di far ragionare sulle nostre scelte etiche e – più in particolare – sulla reale profondità del rapporto con ciò che ci circonda. Vale quindi almeno la pena di citarlo, il cortometraggio vincitore del Premio Speciale Sostenibilità Ambientale: Shadow Tree del cineasta indiano Biju Viswanath, che ha però realizzato il suo lavoro in Tanzania. La cornice di tale cortometraggio è infatti una realtà assai diffusa, purtroppo, nel continente nero, quella dei luoghi in cui persino accedere a fonti di acqua pulita diventa tragicamente difficile. Ed è per questo che la sfida cui va incontro il bimbetto africano di Shadow Tree, cioè trovare quel tanto di acqua che gli permetta di far sopravvivere un pescetto, rinvenuto spiaggiato e boccheggiante su una sponda inquinatissima, acquista un valore molto più alto coinvolgendo emotivamente lo spettatore in una ricerca tanto spasmodica quanto, a tratti, ingegnosa.
Altra sezione, altro premio, altro paese, altro… pesciolino. The fish and I del regista iraniano Babak Habibifar è il corto che a Cagliari ha vinto la sesta edizione dello Skepto Film Festival. La giuria della sezione “best short”, composta da Mariuccia Ciotta, Roberto Silvestri, Matt Willis-Jones, Diego Lopez, Matthew Butler e Tori Hart, ha così assegnato il premio più ambito del festival a un cortometraggio che, in effetti, riesce ad associare significati umani profondi al lirismo e alla purezza delle immagini. Quello di The fish and I è per lo spettatore un microcosmo elegantemente ripreso in bianco e nero. Mentre per il protagonista è un mondo che di colori non ne ha proprio, trattandosi di un cieco abituato a trascorrere molto tempo da solo, in quell’abitazione dove nella classica boccia piena d’acqua vive anche un pesciolino. Ma se quella boccia dovesse accidentalmente rovesciarsi? Da un fuori campo inconsapevolmente molesto arriva lo squillo del telefono, è perciò sufficiente un gesto goffo e istintivo dell’uomo, preso di sorpresa, per mandare in frantumi la boccia di vetro. Ciò che ne deriva è una minimale “ricerca di Nemo”. In primo piano le mani dell’uomo che per via della cecità si muovono a tentoni sul pavimento, nella disperata ricerca di quella creaturina che, fuori dall’acqua, non potrà certo resistere a lungo. Ma la paradossale soluzione messa a punto dal protagonista, assieme a un epilogo di rara e quasi “tattile” sensibilità, arriva a trascendere la già intensissima costruzione filmica, proponendo una volontà di aggirare gli ostacoli più impervi con la forza di un’idea e di quel sentire personale, che non si arrende nemmeno a un buio oggettivo.
Stefano Coccia