SKYFALL (Usa-Uk 2012)
Curiosa davvero, la carriera cinematografica di Sam Mendes: inglese, esordisce 34enne con un magnifico, ironico e dolente ritratto della società statunitense di fine secolo, vincendo subito un Oscar (American beauty); tre anni dopo torna sul grande schermo con un elegante quanto inutile gangster movie (Era mio padre); nel 2005 è la volta del noiosissimo Jarhead, sulla Guerra del Golfo; passano altri tre anni ed esce Revolutionary road, estetizzante drammone ambientato nell’America degli anni Cinquanta che riporta Mendes su buoni livelli qualitativi; il regista sembra ormai avviato a un’onesta carriera tipicamente hollywoodiana e mainstream, ma nel 2009 confeziona una piccola e deliziosa pellicola “indipendente”, American life, con attori abbastanza sconosciuti e poche ansie di sfondare al botteghino.
E adesso l’ennesima svolta con Skyfall, 23esimo film sull’agente segreto James Bond 007 in cinquant’anni esatti di onorata carriera.
Diciamo subito una cosa: come spesso accade in questi casi, il fatto che in cabina di regia ci sia un “autore” non rende il film particolarmente diverso da come sarebbe stato, probabilmente, se a girarlo fosse stato un qualsiasi mestierante hollywoodiano (cfr. anche Thor di Kenneth Branagh, Hulk di Ang Lee o The tourist di Florian Henckel von Donnersmarck): i film di genere – action, spy, fantasy ecc. – hanno le loro peculiarità, le loro esigenze e i loro luoghi comuni, da cui è molto difficile svincolarsi. Certo, la regia di Skyfall è elegante e ricercata, e alcune trovate sono davvero intriganti (ad esempio la scena ambientata nel grattacielo di Shanghai, i cui giochi di riflessi, luci e ombre sbanalizzano parecchio la situazione), ma non è che la cosa sia così determinante: questo film è un altro 007, un buon 007, forse uno dei migliori in assoluto da vent’anni a questa parte, ma niente di più. Non è l’opera che rivoluzionerà il genere spionistico, né d’altronde, forse, voleva esserlo.
Un buon film di genere, dunque, nonostante l’esile trama: Silva, un ex agente del servizio segreto di Sua Maestà passato al “lato oscuro della forza” (Javier Bardem) vuole vendicarsi del suo ex capo M (Judi Dench), boss anche dello stesso James Bond (interpretato per la terza volta dal convincente Daniel Craig), trasformandosi per questo in uno spietato terrorista informatico. Nel cast anche Ralph Fiennes e Albert Finney. Avvincenti ma fin troppo lunghe le scene d’azione (il primo inseguimento è davvero interminabile), mediocri i personaggi femminili (le famose “Bond girl”, qui decisamente in secondo piano), apprezzabile l’ironia che puntella di tanto in tanto una vicenda piuttosto malinconica e molteplici le citazioni “cinefile”, sia dei passati episodi della saga di 007 sia di altri film: qua e là Skyfall ricorda V per Vendetta (gli attentati nei centri del potere di Londra), Il cavaliere oscuro (Bond che tiene sospeso nel vuoto il suo nemico all’ultimo piano di un grattacielo come Batman con Joker), Il silenzio degli innocenti (Silva rinchiuso in una cella trasparente situata nel mezzo di un’enorme e sorvegliatissima stanza), Apocalypse now (Silva che arriva in elicottero diffondendo tutt’intorno musica ad alto volume) ecc. Devo dire, tra l’altro, che il modo in cui Bond e M difendono la villa scozzese che dà il titolo al film mi ha ricordato parecchio Mamma, ho perso l’aereo. Ma credo – spero – che il riferimento non fosse voluto.
Un ultimo, doveroso cenno va concesso agli sponsor, che tanto si sono sforzati per trasformare il film in un lunghissimo, ininterrotto spot pubblicitario: tra orologi, birre, automobili, telefonini e computer non s’è mai visto un film così sfacciatamente griffato.
Alberto Gallo