(Skyfall)
Regia di Sam Mendes
con Daniel Craig (James Bond), Judi Dench (M), Javier Bardem (Raoul Silva), Ralph Fiennes (Gareth Mallory), Naomie Harris (Eve Moneypenny), Albert Finney (Kincade), Bérénice Marlohe (Sévérine), Helen McCrory (Clair Dowar), Ben Whishaw (Q), Ola Rapace (Patrice), Rory Kinnear (Nill Tanner).
PAESE: GB, USA 2012
GENERE: Drammatico
DURATA: 143′
Colpito dal fuoco amico e dato per morto, 007 si gode qualche mese di meritato relax (a base di sesso e alcol) vivendo su una spiaggia sperduta. Quando il quartier generale dell’MI6 viene attaccato e M rischia di essere destituita, Bond torna a Londra pronto per affrontare un nuovo nemico. Si tratta di Raoul Silva, ex agente dell’MI6 che M accettò di sacrificare e che, a distanza di molti anni, vuole vendetta…
23esimo della saga, il terzo della rifondazione “craighiana” iniziata nel 2006 con Casino Royale e proseguita nel 2008 con Quantum of Solace. La presenza di Sam Mendes dietro la macchina da presa attua “una rifondazione nella rifondazione”: Skyfall non è solo molto diverso dai Bond di Connery, Moore, Dalton, Brosnan e (una tantum) Lazenby, è addirittura molto diverso da quelli di Craig. Perchè Skyfall è tante cose. È, innanzitutto, uno dei pochissimi blockbuster della storia del cinema ad essere anche un film d’autore, estremamente originale e soprattutto personale: si pensi all’eleganza formale della regia di Mendes, alle magistrali sequenze notturne di Shangai e Macao (ispirate al teatro delle ombre), al finale allucinato tra le fiamme rossastre (un plauso va anche alla fotografia del grande Roger Deakins); ma anche al fatto che il fulcro della trama non sia l’azione – come in TUTTI i Bond precedenti – ma il racconto di una situazione familiare complessa, tema tipico del cinema di Mendes: qualcuno ha parlato di Caino e Abele, qualcuno della parabola del figliol prodigo, altri hanno scomodoato Shakespeare e Edipo; certo è che Bond e Silva sono figli della stessa M(adre) e dello stesso (M)ondo, due facce della stessa (M)edaglia che, forse in modo del tutto casuale, hanno scelto in maniera diversa per chi (o per cosa) combattere. Quello di oggi, sembra dirci Mendes, è un mondo in cui o si ha il potere di sacrificare o si è sacrificati, ma non sempre la divisione è manichea: tutti e tre i protagonisti – 007, M e Silva – pur in momenti diversi, si ritrovano in entrambi i ruoli.
È lo 007 in cui, in maniera maggiore rispetto ad altri, si ha il coraggio di ammettere che il mondo è cambiato. La sequenza del primo incontro tra Bond e Q al museo sembra normale amministrazione, in realtà nasconde il senso del film: il quadro che Bond osserva è La valorosa Téméraire di Turner, in cui una vecchia nave da guerra viene ingloriosamente trainata verso la demolizione; proprio come M, grande combattente ora costretta ad andare in pensione perché considerata obsoleta (è lei stessa a dirsi spaventata perché “non sa più chi sono i nemici né dove si trovino”). Ecco perché Skyfall è lo 007, a livello geografico, più statico (è quasi tutto ambientato nel Regno Unito): il nemico non è più nascosto in qualche remota isoletta esotica, ma è già in casa nostra e, 9 volte su 10, lo abbiamo creato noi. Per questo è anche il più politico e cupo, attuale e disperato. Una riflessione, quella sul cambiamento, che diventa anche mirabile sotto testo meta cinematografico: quando a Bond viene chiesto quale sia il suo hobby egli risponde “la resurrezione”; non rinascita, resurrezione, ovvero ritorno in altre vesti ma con lo stesso spirito. E infatti, nel finale, il Bond di Craig incontra metaforicamente il Bond di Connery (la casa dei genitori, l’Aston Martin, la Scozia), ed è in questo modo che sconfigge il villain di turno. Tutto ciò, unito alla presenza di personaggi storici della serie (come Q o Eve Moneypenny) perfettamente aggiornati, ribadisce che anche nel rinnovamento non vanno scordate le tradizioni. Come dire, il cinema sarà anche computer grafica ma è prima di tutto racconto.
E infatti ne è uscito lo 007 più spettacolare e, allo stesso tempo, più scorrevole e meno succube degli effetti speciali. Sono la storia e i personaggi (con le loro psicologie) a comandare, tutto il resto segue a ruota. Craig, sempre più aderente al personaggio (e sempre più bravo a raccontarne le sfaccettature) sta seriamente insidiando a Connery la medaglia di Bond più amato. Sicuramente è il più credibile e complesso, e il lavoro fatto sul personaggio (mitizzato e demistificato allo stesso tempo) è qualcosa di davvero travolgente (c’è addirittura una scena in cui si arriva a minare la sua maschera di sfacciata eterosessualità). Tra i molteplici meriti di Mendes (e dei suoi sceneggiatori Neal Purvis, Robert Wade e John Logan), c’è anche quello di aver seguito alla lettera la lezione del grande Alfred Hitchcock: azzecca il cattivo (un grande Bardem) e avrai azzeccato il film. L’isola disabitata in cui vive è ispirata all’isola fantasma di Hashima, Giappone. Oscar per la magnifica Skyfall, cantata da Adele sui bellissimi titoli di testa di Daniel Kleinman. Film godibile dall’inizio alla fine, struggente e bellissimo, un blockbuster unico perché privo di cliches. Da non perdere.