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Skyfall, di Sam Mendes (2012)

Creato il 08 novembre 2012 da Psichetechne
Skyfall, di Sam Mendes (2012)

Il rapporto tra James Bond e il capo dell'Intelligence inglese, Mi6, M., è messo a dura prova quando M. è posta in serio pericolo da un ex-agente diventato terrorista internazionale. Mentre l'Mi6 è sotto attacco, l'agente 007 deve a tutti i costi scovare e distruggere la minaccia, nonostante il fatto che anche un agente di ferro come lui cominci a sentire il peso degli anni e una certa stanchezza...
Può forse apparire strano che da queste parti alberghi una recensione a "Skyfall", che sembra non avere nulla a che spartire con il cinema perturbante. E appare strano anche a me, mentre scrivo, vi dirò. Tuttavia quest'ultimo film di Sam Mendes ("American Beauty", 1999; "Era mio padre", 2002; "Revolutionary Road", 2008) mi ha colpito molto favorevolmente e quindi desideravo scriverne, anche perché ritengo che contenga qualche (e notevole) elemento di "perturbazione", rispetto all'archetipo del James Bond filmico consueto, rendendolo poi oggetto estetico che può fornire più di uno spunto critico in chiave psicoanalitica. Per cominciare questo James Bond di Mendes (un Daniel Craig mai stato così espressivo e calato perfettamente nel personaggio), è un uomo provato dalla fatica e dal passare del tempo; minacciato da un nemico interno (l'ex-agente Mi6 Silva, uno Javier Bardem luciferino al punto da spingere addirittura Bond in tentazioni omosessuali); in lutto per la morte del suo capo-matrigna M. (una Judi Dench magistralmente granitica, la miglior interprete del film), a dispetto di tutto l'eroismo messo in campo per salvarla; lontano dal prototipo di un aplomb anglosassone a tratti stucchevole che ha caratterizzato molti suoi predecessori. Insomma un anti-eroe dipinto da un Mendes che vuole tratteggiare l'affresco di un epoca (la nostra) in cui ogni ideale e ogni mito di qualsivoglia natura è caduto e rotolato nella polvere, frammentato da mille tentazioni, richiami, seduzioni e infrollimenti etici di ogni tipo. Mendes sembra dirci, attraverso questo il Bond di "Skyfall", che la cultura occidentale odierna si muove su un terreno più che paludoso, cioè su sabbie mobili che non risparmiano nulla e nessuno: una cultura dell'incertezza assoluta, aldilà della "vita liquida" di cui ci ha parlato Zygmut Bauman, una in-cultura che riesce a spezzare le gambe anche ad un eroe superominico come l'agente 007. Il film parte con una introduzione cantata da Adele (il cui video ho postato più sotto), nella quale i titoli di testa sono accompagnati da immagini inquietanti (tombe, ombre roteanti, spari e fumi che avvolgono e poi scompaiono) e da una bellissima musica che ci fa poi scivolare immediatamente nella pura azione adrenalinica. La sceneggiatura, da qui in avanti, è sempre ben cadenzata, ritmicamente pulsante, e mantiene si potrebbe dire sul piano visivo, la ritmica musicale dell'introduzione. Fotografia (dell'ottimo Roger Deakins) e regia si sposano sontuosamente e raggiungono un picco artisticamente raffinato e insieme intenso nella sequenza dell'ascensore che poi diventa sequenza del grattacielo a vetri, con quelle coloratissime, cangianti e proteiformi immagini medusoidi che ruotano intorno a Bond poco prima che il killer spari all'uomo seduto nella stanza dell'edificio di fronte, altra sequenza che è un dipinto fiammingo di semplice, soave eleganza. Varie parti del film sono "quadri", "pittografie" filmiche di rara intensità, come la lunga sequenza in cui Bond si trova in un bar di Macau e incontra Sévérine, ex-prostituta, "schiava" di Silva-Bardem,  che lo condurrà sull'isola del nemico. La potenza visiva, la passionalità drammatica messa in scena e usate a piene, generose mani da Mendes emerge in tutta la sua forza proprio qui, sull'isola: luogo atopico, simulacro di una decadenza delle cose e delle menti che diventa teatro di un surreale duello in cui la nuova amante di Bond morirà, sotto il sole a picco di un leggendario quanto futile O.K. Corral ultra-post-moderno. Sto dicendo che il film è decisamente da vedere:  da qualsiasi angolazione vorremo considerarlo, mostrerà infatti scorci di poesia filmica che a tratti si fa struggente. Un requiem, un de profundis per l'Occidente ucciso dal denaro, dalla finanza, dal consumismo impazzito, ho pensato. Che cosa può rappresentare, appunto, il varano di Komodo che tenta di azzannare Bond nella sequenza del bar di Macau, se non questo tempo in cui il denaro ha azzannato l'anima dell'uomo occidentale e se la sta divorando? Su questa linea tematico-testuale, il film ci porta alle "origini" di Bond, alle origini del mito e dell'eroe. Ci porta a Skyfall, la casa scozzese dove è nato Bond, altro spunto profondissimo generato dalla penna degli sceneggiatori, che Mendes interpreta con modalità wagneriana nel corso di tutto il terzo atto del film, lunga, fiammeggiante, insieme tristissima e rigenerativa anabasi che umanizza ulteriormente l'eroismo di 007: Bond ha una storia, non è un personaggio di plastica, soffre, piange, vive emozioni, si china sul cadavere di M. come in una tragedia greca classica, circondato da ruderi e atrii muscosi. M. è come una madre-padrona che ha forgiato la sua anima, i suoi ideali, e quindi neanche Bond può sottrarsi alla visione di una parte di sè stesso che muore con la morte di M. Mendes si sposta quindi nettamente sul piano del lutto, della perdita e della rimemorazione, così come aveva fatto, con altrettanta profondità in "Era mio padre" (2002). Mendes, cioè, con questo suo ultimo film, mette in scena la trama più profonda delle passioni umane, riuscendo a raccontarle entro la cornice di una spy-story che non abdica comunque alla sua funzione centrale di "gioco" (di play winnicottiano), di intrattenimento, riuscendo, cioè, a rivolgersi ad un pubblico molto vasto e pluristratificato. "Skyfall", grande film, da vedere senza indugi.  Regia: Sam Mendes    Soggetto e Sceneggiatura: Neal Purvis, Robert Wade Fotografia: Roger Deakins   Montaggio: Stuart Baird   Musiche:  David Arnold   Cast:  Daniel Craig, Javier Bardem,Naomie Harris, Judi Dench, Ralph Fiennes, Bérénice Marlohe, Albert Finney  Nazione: UK, USA   Produzione: Metro-Goldwyn-Mayer (MGM), Danjaq, Eon Productions  Durata: 143 min. 

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