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Slaughterhouse Five, di Kurt Vonnegut.

Da Arturo Robertazzi - @artnite @ArtNite
  • Categoria Cuore
  • Categoria Cervello

Mi sento instabile nel tempo. Mi siedo. Prendo la mia copia di Slaughterhouse Five tra le mani. Lo leggo da sinistra a destra e poi lo rileggo nel senso opposto. È un romanzo su un uomo che scrive un romanzo di guerra sulla Seconda Guerra Mondiale. Letto al contrario fa più o meno così:

Alla parola fine, trovo confusione, disorientamento, piacere e un uccellino che canta a Billy Pilgrim. Lui è un “pellegrino” che fa la guerra, che cerca disperatamente di imparare che il tempo esiste, ma non come lo comprendiamo noi umani, che la morte esiste, ma è solo un momento strutturato nel tempo, ché uno che ha vissuto, sempre vivrà.

Volto pagina e Billy Pilgrim combatte in Germania e assiste al bombardamento di Dresda: prigionieri nude, una distruzione che sembra luna, miniere di cadaveri. Che dopo un massacro tutto dovrebbe essere silenzioso, ma ci sono sempre gli uccellini e gli uccellini dopo un massacro fanno “Poo-tee-weet?”.

Volto pagina, e Billy Pilgrim è in una stanza di ospedale, per qualche ragione colpito alla testa; nell’altro letto c’è un lettore fanatico di Kilgore Trout, autore di libri di fantascienza che non si è mai pensato scrittore perché il mondo non glielo ha mai permesso.

Volto pagina e Billy Pilgrim è in uno zoo su Tralfamador, con Montana Wildhack. La fuga è impensabile, perché fuori l’atmosfera è fatta di cianuro e perché la terra è lontana 446,120,000,000,000,000 miglia.

Volto pagina ancora e scopro uno dei brani più belli che io abbia mai letto. Lo leggo, lo rileggo al contrario, mi stupisce, mi commuove, e lo leggo ancora.

Volto pagina un’ultima volta e, sotto i miei occhi, il libro si chiude sull’incipit, l’inchiostro si decompone in solventi, la carta si trasforma in cellulosa, poi in albero, le bombe delle guerre in minerali preziosi, e prima che me ne possa accorgere, l’umanità svanisce in un lampo, producendo due essere perfetti chiamati Adamo ed Eva.

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